di Cristina Podestà
Ho consumato un poco di felicità in una giornata scura e piovosa, in una stanza semplice, con un arredamento dell’Ikea, davanti ad un the verde.
Ritrovare un’amica dopo tanto tempo è stato meraviglioso. Liberarmi di un peso, pure. Correvo verso il tram e mi erano caduti due libri. Incontro a me stava passando Cecilia e, vedendomi goffa, affannata e disperata, senza che nemmeno aprissi bocca, me li aveva raccolti e io le avevo gridato un “grazie” al volo, mentre stavo già salendo.
Il giorno dopo me l’ero trovata di fronte mentre entravo nel bar vicino al mio dipartimento. L’avevo salutata, mi ero presentata e le avevo offerto il caffè, nonostante lei non volesse. Anch’ella al primo anno di biologia, avevamo subito legato.
Io studiavo da lei, che essendo di Brescia, viveva in una stanza in affitto con altre due ragazze. Io invece vivevo nelle vicinanze di Parma e, dunque, se quando si studiava da me veniva tardi, mangiava e dormiva nel letto di mia sorella che si era sposata l’anno prima.
Cecilia era la mia “migliore” amica. Sapeva tutto di me, e approvava tutto, tranne il mio segreto. Solo lei, infatti, ne era a conoscenza. Amavo un uomo più grande! Un uomo sposato! Aveva 45 anni, io quasi 20.
Lei mi diceva che non ci sarebbe stato un futuro per noi, che avrebbe potuto essere mio padre, che non capivo che lui mi stava usando e basta. Lo incontravo solo ogni due settimane, di venerdì. Fino ad allora mi aveva aiutato una ragazza con cui andavo alla scuola media, che raccontava ai miei genitori, in caso di bisogno, che avrei dormito da lei.
Poi l’incombenza era scivolata su Cecilia. “Stasera dormo da Ceci, studiamo tutta la notte e anche domani mattina”. Lei non era molto convinta e nemmeno contenta: mi sgridava un po’, poi mi diceva di fare come volevo, tanto lei studiava davvero, non usciva ed io ero una testa di marmo.
Il venerdì partivo con Andrea. Bello come un Dio, uomo non ragazzo come gli altri; non conoscevo molto di lui, e lui poco di me. Era stata attrazione a prima vista e ogni due venerdì per me spuntava il sole. Eravamo in febbraio ed era così da settembre. Correvamo via da Parma, verso il mare. Oppure verso i laghi.
Non parlavamo granché, ma io ne ritornavo carica per studiare ed essere una bellissima persona con tutti, per almeno 15 giorni. La mia storia con lui andò avanti circa 18 mesi: quanto più mi innamoravo di lui, tanto più stringevo amicizia con Cecilia. Poi, improvvisamente, il buio.
Stavo tornando a casa una domenica mattina, dopo aver accompagnato la mia mamma alla messa, quando da lontano mi parve di vedere Andrea. Mi blocco di colpo, abbastanza nascosta per non essere vista, e lo vedo. È seduto al bar. Fa ancora abbastanza freddo ma c’è il sole ed è serenamente a bere un caffè. Con Cecilia.
Mi sale una nausea devastante! Non capisco. Poi, forse, sì. Aspetto a lungo, mi mangio le unghie, mi manca il respiro, strofino gli occhi, mi conficco una penna nel palmo della mano. Torno a casa frastornata, tanto che chiedo a mio padre di andare a prendere la mamma, visto che io non sto bene.
Mi chiudo in camera e piango. Piango sulla mia vita disgraziata e inutile, sul “lutto” che mi sta colpendo. Sto tutto il giorno a far preoccupare i miei genitori che chiamano la guardia medica. Arriva un anziano dottore che mi diagnostica una congestione.
Lunedì non vado in università. Ceci mi chiama preoccupata. Come stai? Vengo da te? Le rispondo brusca che per un po’ di tempo ho bisogno di studiare da sola, che mi sono accorta che non rendo, che non ho voglia di nulla.
Per più giorni mi cerca, viene a casa mia, e mia madre le dice che avrò forse “problemi di cuore”. Cecilia non comprende poi, piano piano, si stacca da me. Io torno in dipartimento, la evito, mi guarda incredula, io la vedo con la coda dell’occhio, mi si stringe il cuore, ma non la saluto.
Poi la vedo sempre di meno, cerco di non incrociarla più. Passano almeno 4 anni, mi laureo e di Cecilia non ho quasi più nessuna notizia. Agli appuntamenti con Andrea non vado più da quella domenica, lui mi chiama ogni tanto, io non rispondo, poi chiama più raramente, poi non chiama più. Una storia a tempo. Lo sapeva. Lo sapevo.
Oggi, dopo 22 anni, al bar dell’Ikea, vedo Cecilia. È lei, ne sono sicura. Sono da sola, i bambini a casa. Lei mi pare da sola. Le vado incontro e lei spalanca la bocca, restando impietrita.
La saluto con calore e le chiedo se vuole bere un the con me. È in difficoltà, ma io la rassereno. La guido verso il tavolo, la faccio sedere e ordino i the. Cecilia adesso può sapere. Adesso le posso dire che, a 20 anni, ho avuto una storia fugace ma di immenso amore con suo padre.
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