sabato 4 dicembre 2021

Luci per le strade

La stranezza di queste feste nella pandemia


di Cristina Podestà

File di lucine che balzellano, alberi addobbati che illuminano la notte buia, odore di agrifoglio e pino. Il mare arrabbiato che spruzza sugli scogli, il vento freddo un po’ in anticipo che fa bruciare la pelle, i tramonti lontani laggiù, tra mare e cielo, uno spiraglio di sole.
È arrivato dicembre di un anno trascorso così, altalenante tra speranze buone e terribili paure, un anno in cui abbiamo creduto fortemente in una rinascita, in un essere più buoni. Abbiamo vissuto un anno insicuro, forse ancora più di quello passato, non certi di poter stare con chi vogliamo. 
Una signora attraversa la strada con la borsa pesante e un pacchetto luccicante in mano. Già tra poco è Natale. Anzi, come consiglia da ieri l’UE, tra poco sono “le feste”. 
Mi sento a disagio, come tutto fosse falso, di plastica, inesatto. Trovo difficile l’approccio con le persone. Chi ti vuol dare la mano, ma forse non è il caso, chi ti saluta mascherato e non lo riconosci, chi ti offre il gomito; chi urla forte senza mascherina che siamo in dittatura sanitaria, chi rasenta i muri per non farsi avvicinare da nessuno, chi non si fida più nemmeno della propria ombra. 
Le notizie di femminicidi abbondano nonostante si sventolino scarpe e panchine rosse. Molte parole vuote e inutili, fatti tanti, troppi, di violenza inaudita. È così che ci avviciniamo alle “feste”. Ho l’amaro in bocca. Vedo le luci saltellare, ormai più o meno ovunque, vedo i negozi con offerte “per le feste”, ma io non mi sento come prima. 
Che feste sono? Che anno nuovo ci aspetta? Quali novità? Cammino e mi copro con l’ombrello, evitando di parlare; potessi eviterei anche di pensare. Non mi piace elaborare concetti, in questo momento non sono disponibile. Mi guardo i piedi e guardo la strada, cerco di concentrarmi sui passi, i miei. Quanti ne ho sbagliati? 
Spesso sono caduta e mi sono fatta parecchio male, ma poi mi sono rialzata e ho ripreso il cammino. Avrei potuto cambiare direzione, forse sarebbe stato foriero di belle novità oppure no, mi sarei fatta ancora male, forse di più. 
La pioggia non smette, il ticchettio mi infastidisce. Entro in un negozio col respiro affannato e gli occhiali appannati. Li tolgo, va meglio. Mi sento agganciare una gamba, guardo in basso già scocciata perché penso sia un laccio di qualcosa fuori posto. Invece incontro due occhioni azzurri e una bocca sorridente mezza sdentata, che nell’incertezza del movimento, ha trovato la mia gamba e si è appoggiato. Oddio è un bambolotto paffuto. Mi viene da sorridere, mi si stringe al ginocchio e ride soddisfatto. 
Ecco il Natale, ecco le feste! Gli do la mano e lui la prende, tenta di mettersi un mio dito in bocca e glielo vieto. Incrocio lo sguardo orgoglioso e soddisfatto del padre alla cassa che mi fa cenno di scusa ma, contemporaneamente, mi chiede se gli do un occhio. Certo, ne sono felice. 
In due minuti ha fatto e si prende in braccio quel fagotto azzurro. “Grazie”, gli dico e lui, sorpreso, “Grazie a lei!”. Lo saluto con un cenno del capo. 
Non lo saprà mai, ma mi ha inserito nell’atmosfera delle feste, anzi, no, del Natale!

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