Il
coronavirus ha provocato anche reazioni
irrazionali. Psicosi? Le società moderne, così interconnesse, sono
impreparate di fronte ad eventi insidiosi. L'insicurezza
rispetto a ciò che è sconosciuto e incontrollabile
(ap *) Ci vuole tempo per
rispondere a domande difficili. Quelle che affiorano con il passare dei giorni,
appena riavuti dal primo spavento. Sulla normalità della vita, sullo
stravolgimento del tran tran quotidiano, sul modo di lavorare, di divertirsi. Prima
ancora sulla maniera di affrontare un problema collettivo, serio ed importante.
E’ avvenuto in questi giorni. Sono i momenti, così attuali e drammatici, del virus che viene dalla Cina e ha un nome tanto strano, “corona”, che non
sembrerebbe proprio quello di una malattia terribile.
Come era bello prima. Andavamo
al supermercato a fare la spesa una volta a settimana, le cose necessarie,
senza frenesie, qualcosa la dimenticavamo pure, ma non importava, sarà per la
prossima volta. Prendevamo il bus o il treno per lavoro, tutti i giorni,
insieme a tanta gente sconosciuta, sempre diversa. Quell’anziano, accanto a noi,
tossiva di continuo, ma non ci impressionava, al più ci chiedevamo: perché non
si prende una pasticca? Il fine settimana, qualche svago, ci piaceva stare in
mezzo alla gente. Il teatro, il cinema, una cena con gli amici di sempre. Oppure
all’aperto, il freddo non si sente quasi più, sembra persino arrivata la
primavera. I milanesi: una passeggiata sui Navigli; i veronesi, un caffè a
ridosso dell’Arena; i romani, due passi in piazza Campo de’ Fiori. Viaggiare.
Qualcosa di straordinario, la Cina per esempio, di cui tutti parlano, chissà
com’è? Oppure, una gita “fuori porta”: quella mostra a Torino, quell’altra ad
Urbino, l’evento in un paesino della Liguria.
Le
nostre abitudini a soqquadro. Si cambia tutto.
La spesa al supermercato diventa una corsa all’accaparramento, che neanche se avessimo
dichiarato guerra, contemporaneamente, agli Usa e alla Russia. Manca in giro persino
l’acqua, oltre la pasta e il pomodoro, per noi beni di prima necessità. Ma dove
li mettiamo tutti quei prodotti? E le cose fresche, come conservarle, senza che
vadano a male in poco tempo? Per non parlare dei prodotti più specifici nella battaglia
al virus, come l’amuchina, le mascherine. Non ce n’è più una in giro, di quelle
diaboliche mascherine. E l’amuchina va sostituita con qualche detergente comune.
Tutti chiusi i negozi, gli uffici, le scuole, specie nelle regioni contagiate,
nel Nord d’Italia. A causa di quanto avvenuto nell’ospedale di Codogno, dove
non si sono accorti subito di un infettato, e questi ha contagiato tanti altri
pazienti, persone fragili, già malate. Ma perché non se ne sono accorti? E poi
dicono che al Nord sono organizzati ed efficienti, mica vero, ecco gli italiani
sempre approssimativi e faciloni. Perciò, servono massime misure drastiche. Se
occorre anche l’esercito, oltre a polizia e carabinieri.
E poi, il
fai da te. Inesauribile risorsa italica,
che talvolta salva e talvolta danneggia. Ognuno in ordine sparso, con modi
diversi, ma uniti dal fine, debellare il virus o almeno difendersi. Ciascuno a
modo suo. Scuole chiuse, tribunali vuoti, non se ne parla di teatri, stadi,
esercizi commerciali. Tutti a casa. Persino la messa celebrata al riparo delle
infezioni, praticamente solo il prete e il pane da consacrare: tutta la
comunità, si fa per dire, lontana, collegata via chat, assiste davanti allo
schermo dello smartphone. Non dovevamo aprirci alle nuove tecnologie? E poi immancabili
i lodevoli esempi personali: il
governatore della Lombardia con la mascherina h24, per mostrare
alla gente (meglio, ai suoi elettori) cos’è la virtù. E poi tanto altro, il
narcisismo degli esperti, le beghe tra i governanti di ogni livello.
Nel frattempo, in mezzo allo
sconquasso, le
domande inquietanti: qual è la reale
gravità di questo corona virus? E’ stato fatto quanto doveroso per
contrastarlo? Tra epidemia e pandemia, e altri paroloni, non ci siamo forse
smarriti, perdendo il senno? Preferendo così chiuderci in casa, dopo una bella
spesa al supermercato. Per stare al sicuro. Ognuno si è dato la sua personale
risposta, che rileva ansie, paure, prima ancora che mancanza di informazioni
scientifiche accurate. E si ritorna all’interrogativo iniziale sul nostro modo
di affrontare questioni che percepiamo come devastanti per l’assetto della
nostra vita quotidiana.
Non è mancato, a ben vedere,
anche il buon senso. A leggere certi discorsi, sembra che solo l’Italia, a
parte la Cina, sia infetta. All’estero, pontificano grandi testate e soprattutto
cancellerie europee. Forse per tornaconto. Al massimo, ci possono addebitare troppi
controlli, fatti anche quando non era strettamente necessario, perché
riguardanti persone, come si dice, asintomatiche. Paradossalmente proprio i
controlli così estesi hanno fatto scoprire tanto altro, oltre i casi gravi. E
certo tutto questo ha amplificato il problema, destato altro allarme. Altrove, è
brutale dirlo: meno allarme, ma anche meno controlli. È una colpa aver
controllato tanto?
La svolta grave è avvenuta
quando uno di questi casi è stato riscontrato in ospedale, come si chiama:
Codogno?, luogo di incubazione ideale della malattia, perché ci sono persone spesso
persone anziane e già malate di altro. Certo lì ci voleva più vigilanza, ma c’è
stata anche una coincidenza singolare di fattori negativi: e gli effetti si sono
moltiplicati. Le “quarantene”, poi, non impediscono di per sé la diffusione del
virus, ma non sono inutili: la rallentano, la contrastano. E l’Italia non è,
dopo la Cina, la zona più infetta e pericolosa del mondo. Fake news. È comodo
dirlo, serve a tranquillizzare, a sentirsi immuni, perché la malattia è
confinata altrove. Ma nulla
garantisce che, con il tempo, non ci siano altri focolai di malattia altrove.
Sono state di buon senso le
risposte della gente? Abbiamo letto e malamente digerito paginate di giornale
sul tema. Dopo le paure, si riprende però la vita di tutti i giorni. Con calma,
certo. Un passo alla volta. Ma riapriamo i negozi, torniamo a vederci in piazza
e pazienza se qualcuno tossisce o è raffreddato, sono malanni di stagione. Non
si può stare sempre in casa, nel timore di un nemico che non vediamo arrivare
alla nostra porta. Anche il capitano Drogo, pur se Dino Buzzati non lo
racconta, si sarà stancato di aspettare il nemico all’interno della fortezza
Bastiani. Più che per un rigurgito di senno, è la stanchezza a prevalere. Non
possiamo alterare più di tanto la nostra vita, il corso dei giorni. Riprendiamo
a fare le cose di sempre e che ci davano qualche sollievo. Con cautela e
lentezza, ci mancherebbe, perché il pericolo rimane, ma la strada è questa. Torniamo
alle nostre abitudini. E’ l’invito da tante parti, anche autorevoli.
Non basta, a chiarire tutto,
il lento ritorno alla normalità. L’esortazione a non farsi prendere dal panico.
L’invito a guardare le cose nella loro concretezza. Possiamo farcela a
contrastare il virus. In tutti i modi l’economia deve riprendere, dobbiamo
riprendere i commerci con l’estero, a cominciare proprio dalla Cina, non
possiamo farne a meno. E può
darsi, come ha segnalato il sindaco di Milano Sala, che proprio la cultura ci
faccia fare un passo in avanti per uscire
dallo stallo. La cultura, nel senso di tornare a vedere mostre, ascoltare
concerti, frequentare cinema. Motore della vita sociale. Ma anche nel senso più
profondo di esortazione a comprendere meglio quello che ci è capitato.
Di fronte al virus, non
abbiamo avuto semplicemente paura. Questa sensazione riguarda le cose
conosciute, contro le quali possiamo costruire difese proprio perché sappiamo
qual è il pericolo. È un fattore persino “costruttivo” dell’assetto sociale, la
paura, utile all’azione. In questo caso, invece, ci siamo sentiti angosciati, senza
forze, smarriti, incapaci di pensare razionalmente. Spinti a reazioni
incontrollate e senza senso. Privi di certezze. Vedevamo la terra sgretolarsi sotto
i piedi. La novità del pericolo spiega tanta parte dell’affanno con cui abbiamo
reagito, e in parte giustifica qualche decisione eccessiva. Ma non è tutto qui.
Ha rotto tutti gli equilibri
questo accidente, venutoci addosso tra capo e collo. E il fattore dirompente è
stata la sua incontrollabilità. Tra noi si è intrufolato un nemico che non
conoscevamo, e contro il quale non sapevamo come fare, perciò ha destato, oltre
che sorpresa, sgomento. Ignoto alla scienza, mai isolato in laboratorio, e
perciò mai contrastato prima. Noi a mani nude, senza un vaccino. A studiare
cosa fosse questa malattia, come difenderci. Inoltre, ad aggravare la
situazione, c’era la suggestione malefica della sua provenienza dal lontano
Oriente. Il pregiudizio verso il totalmente diverso, appunto l’ ”asiatico”. Un
aspetto emotivo, ma potente. Destava timore che il virus venisse dalla Cina: un
paese grande e lontano, potente e misterioso, autoritario e minaccioso. Ancora,
appariva come un elemento inafferrabile e insidioso. Aveva la capacità subdola di
approfittare di vari canali di contagio, superare ogni confine fisico, diffondersi
dappertutto. Infine era anche vigliacco. Perché colpiva anziani e malati,
approfittando di loro.
Si è fatta esperienza dell’effetto,
sulla nostra vita regolata da consolidate abitudini, di un accidente totalmente
sconosciuto e incontrollabile. All’improvviso abbiamo scoperto di essere degli
sprovveduti, di non aver gli strumenti per reagire a dovere. Non era solo una
questione di competenze, di informazioni, di studi scientifici. Anche di questo
certamente, perché disporre già di vaccini avrebbe fatto comodo, avremmo saputo
cosa fare. Ma non è solo questo, c’è una ragione più profonda nell’inquietudine
di questi giorni.
L’ansia è stata così forte
da spingerci a reazioni irrazionali e prive di senso, come quella di fare
scorte alimentari non necessarie o di rinchiuderci in noi stessi, quasi per non
vedere quello che ci capitava, paralizzati nel fare qualsiasi cosa, per il timore
di rimanerne danneggiati. Il coronavirus alla fine ci ha messo davanti l’eterna
verità dell’incertezza della vita, e della nostra irriducibile insicurezza. Ad
essere incontrollabile non è solo l’accidente che un giorno attraversa la
nostra strada, ma l’esistenza stessa. E anche per questo avvertiamo un senso di
fragilità ed insicurezza. Che ci sgomenta, facendoci reagire in modo
irrazionale.
* Leggi La Voce di New York:
Italiani basta col terrore coronavirus, tornate a vivere come avete sempre saputo fare
Riprendiamo a fare le cose di sempre e che ci davano sollievo. Con cautela, ci mancherebbe, perché il pericolo rimane, ma torniamo alle nostre abitudini
* Leggi
La cura di sé:
Ci
sono state reazioni irrazionali. La difficoltà di affrontare eventi
imprevedibili e sconosciuti
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