I
balconi d’Italia hanno cambiato aspetto: musica, striscioni, lenzuola,
bandiere. La voglia di contrastare il coronavirus,
ora che si è reclusi in casa. Sentendosi uniti e
vicini, anche se ognuno a casa propria
(ap) Hanno cambiato aspetto per un giorno, trasformandosi da
accessori anonimi delle nostre abitazioni in altro. I balconi
dei palazzi italiani sono cambiati di colpo. E’ avvenuto un giorno di marzo,
ad un’ora prestabilita. E da lì, da quel momento, si è andati avanti per un
po’, spontaneamente. Chissà come si è sparsa la voce, come è nata l’iniziativa,
chi ha avuto l’idea. Non importa.
Sono diventati per un momento, i nostri balconi, il luogo in
cui esprimere tante cose. E farlo pubblicamente, davanti a tutti. Ciascuno
aveva le sue ragioni. Aveva letto il decreto del governo che
ordinava il “tutti a casa” e aveva obbedito. Stavolta almeno, zitti. Senza
fiatare, senza borbottare. Qualcuno ci aveva anche pensato in anticipo. Qualcun
altro ora chiede misure più rigide, figurarsi.
Dunque i rintanati in casa per decreto, non per volontà
propria, sono usciti in quegli spazi, angusti, oppure no. Stiamo insieme anche
se distanti. Facciamoci coraggio l’un l’altro. C’era una parola d’ordine in
tutta Italia, il flash
mob, ora si chiama così quando si decide di fare una cosa tutti insieme,
allo stesso momento. Ed è accaduto ovunque nel paese, non c’era differenza tra
il nord e il sud. E loro, i rintanati, si sono sfogati. Anzi sfogarsi non è
proprio la parola giusta. Piuttosto, per dire: noi ci siamo, eccoci.
Vogliamo dirvi perché lo facciamo, perché abbiamo accettato
di buon grado di stare tutti qui dentro in casa rinunciando alle nostre
passeggiate, alle chiacchiere in giro, al caffè lungo di prima mattina con il
barista all’angolo. Quando siamo liberi dal lavoro. E a tante altre cose, che per
semplicità non stiamo a specificare. Rischiando anche di litigare di più in
famiglia, date le condizioni da reclusi, tutti appiccicati nelle stanze, che
nemmeno in carcere, cose che non ci saremmo mai aspettati. Tutto questo non ci
ha fatto paura. Siamo stati zitti. Finora. Ora vogliamo dirvi due parole. Non
per protestare, lo ribadiamo.
Per esprimere piuttosto qualcosa di noi con semplicità e
dignità. Anche con la fantasia che a volte accompagna un certo sentimento
popolare. Non siamo per questo italiani? I bambini – senza essere pungolati dai
genitori - hanno creato cartelli, dipinto lenzuola, con disegni
multicolori: cuori, arcobaleni, e soprattutto parole. Annunciano una
condizione “io sto a casa”, che pare un sopruso triste, specie per chi, come i
più piccoli, ha bisogno fisiologico di muoversi tanto, fare sport, ma che vuole
essere assolutamente altro. Un bisogno, una scelta. Anche un augurio, che
infatti appare subito dopo: “Tutti insieme ce la faremo”.
Gli adulti, spesso anziani, hanno mostrato sorrisi, come se
non soffrissero di rimanere segregati tra le mura domestiche, senza il saluto
della portinaia, le quattro chiacchiere al giorno – questo passa il convento –
con il verduraio di zona, o il vicino incontrato sulle scale. Spazi di libertà
per sentirsi ancora vivi, ora che si sono diradati i rapporti sociali, le occasioni
di incontro.
Alcuni hanno tirano fuori la bandiera, è anche questo il
momento per farlo, è solo un pezzo di stoffa ma per dire tutto quello che
abbiamo dentro in questo momento: per una volta possiamo lasciare da parte
litigi, meschinità, cattiverie che abbrutiscono la vita civile, e pensare che
siamo tutti nella stessa barca, ce la possiamo fare se siamo uniti, come quella
bandiera suggerisce.
Poi
tanta musica. Ognuno a suo modo, anche imperfetto e stravagante. Musica
cantata e suonata. I musicisti suonano con la consueta maestria i loro amati
strumenti, la viola, la tromba, affacciandosi sulle strade. Le mamme, non
avendo altro, usano coperchi e mestoli, chissà se per imitare qualche melodia o
a caso. I ragazzi di colpo si riappropriano delle canzoni della nostra
giovinezza. Hanno sempre un perché certi motivi “storici” della canzone
italiana. Da Azzurro a Che sarà, a Napul’è, a Volare. Tanti vanno sul classico
spinto, il Nabucco di Verdi e
soprattutto l’inno
di Mameli.
Ecco, di colpo, si passa dalla paura del coronavirus al
ricordo dell’oppressore storico che calpestava la nostra libertà. E si
frapponeva al sogno dell’Italia unita. Un bel salto di epoche e di
problematiche. Si avverte che quelle note musicali vanno bene anche in questa
circostanza, e non solo per le partite di calcio o le ricorrenze ufficiali.
Sono adatte per esprimere uno stato d’animo, un desiderio di riscatto e di
resistenza, che non ha limiti di tempo, non è confinato ad un periodo storico,
ed è buono anche oggi. Perché serve qualunque siano il pericolo e l’ostacolo da
superare. È valido sempre il richiamo alla solidarietà e alla comunione di
intenti, anche ora, che il nemico è così subdolo e ingannevole. Lui, quell’ostile
avversario ha pensato di sorprenderci con la sua baldanza insidiosa, ma non ce
la farà.
- Leggi anche La cura di sé:
L’Italia sul balcone
- Leggi anche La cura di sé:
L’Italia sul balcone
I
palazzi, le terrazze, le finestre dei palazzi italiani, al tempo del
coronavirus, cambiano aspetto. La voglia di farsi coraggio e di mostrarsi uniti,
pur da reclusi in casa
Tanti amici, tutti uniti, sono in grado di sconfiggere anche il peggiore dei nemici. E questo è tosto, eh!, è pure invisibile, perciò uniamo i nostri cuori, che non si vedono ma si sentono forte in momenti come questo.
RispondiElimina#lunionefalaforza
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