Vediamo un tessuto
urbano sconosciuto. E’ cambiato il “paesaggio” del lavoro, del divertimento,
persino della sofferenza. Strade deserte, piazze vuote. Distanze nei rapporti
umani. Luoghi d’arte liberati dal turismo di massa. Il vuoto e il
silenzio al posto della folla e del rumore. Così il non visto è diventato di
colpo visibile e ammirabile. Un sorprendente effetto positivo: il diverso rapporto con l’ambiente
(ap*) Ha anche effetti positivi
il coronavirus? Siamo a questo paradosso? Proviamo a guardarci intorno, allora.
Non si parla soltanto delle condizioni
sanitarie delle persone, di cui sappiamo tutto o quasi. Un problema, in
cima alle preoccupazioni di istituzioni e cittadini. Siamo monitorati in tempo
reale. Per fortuna, anche se a volte ci lamentiamo degli eccessi. Cifre,
statistiche, diagrammi.
Quanti i contagiati, i ricoverati, i sotto
osservazione, i guariti. Regione per regione, e poi nelle macro aree: il nord
rispetto al sud senza trascurare il centro. Aspetti più di dettaglio:
l’incidenza per età, o attività lavorative. Perfino le new entry che – chissà
perché – ci sorprendono, come se non potesse capitare anche a loro: ci sono
anche giudici e politici tra gli infettati. Tutti nella stessa barca, il virus
non fa sconti a nessuno.
Nemmeno si discorre soltanto
delle conseguenze
economiche del virus, che minacciano d’essere devastanti. Un colpo di
grazia all’economia che già di suo non va affatto bene. L’occupazione, i dati
sulla produzione e le vendite, l’export, il turismo: sono i settori sott’occhio,
mentre si teme il tracollo da un momento all’altro e si pensa: ci mancava solo
questo. E poi la questione delle forniture per l’industria: molte materie prime
vengono da fuori, da est, esattamente proprio dalla Cina, la più “infetta”
delle nazioni. A breve potrebbero non bastare più le scorte, cosa si fa?
Ce n’è abbastanza fin qui,
potremmo fermarci a riflettere, se non a lamentarci per la mala sorte. Invece
percepiamo anche conseguenze di altro tipo, che non avremmo immaginato. E che
proprio per questo ci sembrano stupefacenti. Destano sorrisi, e lasciano intravedere
qualcosa di utile. Di che si tratta? Tra le tante novità, viene da chiedersi: non
sarà che il coronavirus riesce anche a mostrarci una dimensione diversa e più
positiva del vivere quotidiano?
È
cambiato d’un tratto il “paesaggio” urbano, l’ambiente nel quale svolgiamo
le nostre attività: dove lavoriamo, con più o meno soddisfazione, e quando il
lavoro c’è, si intende. Dove ci divertiamo, passiamo il tempo. Dove magari soffriamo.
Per la cattiveria del prossimo, una delusione d’amore, una disavventura
economica. Il contesto che spesso ci accompagna nelle tribolazioni, o nelle più
rare gioie.
Eravamo abituati a città
intasate: uomini e mezzi, ovunque. Davanti, accanto, dietro. Alla guida della
nostra scatola di metallo, o sui mezzi pubblici, in mezzo a tanti altri con la
nostra stessa faccia. Scontenta e abbrutita dallo stress. Magari l’insoddisfazione
non dipendeva tutta dall’affollamento, ma era lo stesso, a qualcuno dovevamo
pur dare la colpa. Non era un’impressione da poco: le piazze affollate di
gente, i monumenti presi d’assalto da turisti multicolori, i musei delle
principali città d’arte assediati da code inverosimili di visitatori, accaldati
anche in pieno inverno.
Ora, strade deserte, eventi
rinviati, attività pubbliche sospese, locali chiusi. Luoghi
irriconoscibili. Perché così non li avevamo mai visti, nemmeno in qualche
scolorita fotografia del dopoguerra. Una trasformazione radicale da far
dubitare persino di aver mai conosciuto quei luoghi per come appaiono oggi. Ma
quando hanno fatto quel complesso monumentale che chiamano Colosseo? E chi è
quel Brunelleschi, il giovane di belle speranze (dicono si dia tante arie sui
social) che sta costruendo la meraviglia
della cupola del Duomo a Firenze?
Così si rivede Fontana di
Trevi, splendente dopo il restauro di alcuni anni fa (mai apprezzato a dovere,
nessuno era riuscito ad ammirarlo con calma), all’improvviso libera dalle torme
di turisti che si accalcano sui bordi, non per ammirarne la bellezza, ma per
farsi i selfie, e dunque tutti rivolti con le spalle alle sculture, intenti
sono a guardare sé stessi nelle immagini.
A chi interessa: la Torre a Pisa ha
smesso d’essere sorretta, sul lato della pendenza, dai volonterosi stranieri
che, ogni giorno, si alternano nell’arduo ma essenziale compito, supponendo
che, così storta, abbia bisogno di sostegno; stiamo a vedere se ora, senza
quell’aiutino, si ammoscia e viene giù.
La Galleria a Milano è
percorribile al riparo del timore di pestarsi i piedi, qualcuno è riuscito anche
ad andare dallo stellato Gracco ad assaggiare la pizza fenomenale senza
prenotare mesi prima; uscendo, ha potuto fare una passeggiata arrivando in
breve sulle guglie del Duomo, che spettacolo da lì.
A Firenze, non si è
interrotto, ma ha avuto una bella battuta d’arresto, il dotto dibattito surreale
sulla basilica di Santo Spirito, sì proprio il gioiello rinascimentale (sul
sagrato, meglio una cancellata o il sudiciume dei bivacchi notturni con spaccio
di droga?). Che non si siano fermati del tutto nemmeno in quest’occasione
tragica, glielo perdoniamo ai fiorentini, animi focosi ma d’ingegno: da Dante
in poi, sempre litigiosi, il virus non poteva trattenerli.
Nulla è più come prima, c’è
un cambiamento di prospettiva: il vuoto e il silenzio hanno preso il posto
della folla e del rumore. Improvvisamente è mutata la dimensione dello spazio
intorno a noi. La diversa visuale ci mostra un’altra realtà. Il cambiamento si
accompagna a sorpresa e a smarrimento. E ci lascia senza fiato. Non ce ne siamo
ancora ripresi.
Anziché andare da un posto all’altro seguendo gli stretti
corridoi che le moltitudini ci lasciavano, vaghiamo confusi nelle strade di
sempre, inebriati da una libertà sconosciuta. Manca solo che, nel dubbio, ci si
fermi agli angoli per leggere le targhe stradali.
Magari questo stravolgimento
solleva quesiti stravaganti. Discussioni che fino a ieri nemmeno la fantasia più
sfrenata avrebbe immaginato. Per esempio, il “paesaggio” urbano ha un significato
diverso in città come Milano, Roma o Firenze? Ovvero, la natura di questi posti
esige per caso scenografie differenti? Come dire: in ogni città, quote
differenti di folla + auto, per rispettarne l’anima. Quasi che l’arte, i costumi,
le tradizioni non esigano ovunque la stessa attenzione.
Detto in modo più dotto.
Cosa conta di più per cogliere la bellezza di una città: l’assenza o la
presenza? E’ necessario il vuoto per rimarcare il fascino di una piazza, di una
chiesa, di un locale di qualità? Oppure è proprio la vitalità della gente a
rendere gli stessi ineguagliabili? Che ruolo hanno allora la folla e
l’animazione sociale, semplice fondale o parte integrante della recita?
La discussione non poteva
che sintetizzarsi alla fine nel solito derby Milano – Roma. Tra chi, nel
confronto, ritiene più bella la capitale (della storia) ora che è deserta e chi
lamenta che l’altra capitale (quella della moda, dell’impresa, della cultura)
sia più affascinante con tanta gente in giro.
Tradotto nel conteggio finale: Roma
avvantaggiata dal virus, Milano danneggiata. La partita è in corso e
sull’esito è bene non scommetterci: la grande bellezza non è contestabile
nemmeno dai milanesi, ma i romani peggiorano le cose: è lo zelo dei loro amministratori,
oggi addirittura stellati, a far perdere alla città il campionato.
Invece, oggettivamente
incerta è la questione, tutta lagunare, delle conseguenze del virus su Venezia.
Il carnevale è stato un po’ triste e deprimente da che era esaltante e ricco,
quante maschere in meno, quanti turisti persi sugli aerei rimasti negli
aeroporti europei e americani per non parlare di quelli orientali, quanti
tavolini vuoti in piazza san Marco.
Ma, quando la bilancia nel misurare
l’allegria lagunare sta per pendere contro il virus, ecco a rimettere in gioco
il risultato la notizia: alle navi da crociera è stato sì finalmente vietato di
avvicinarsi, però, come per tutti, il divieto è fissato solo in un metro e non
è detto che basti a salvare la città.
Per contrastare l’epidemia
paghiamo un prezzo pesante in termini di incertezza e di restrizione delle
nostre abitudini, ma c’è anche un effetto sorprendentemente positivo. Ora che
nuove regole ci impongono altri ritmi, potremmo scoprirne pure il lato utile.
Un diverso rapporto con l’ambiente che ci circonda.
Abbiamo la possibilità di
vedere finalmente quanto è a portata di mano. E anche di ammirare, usare,
gustare, approfondire le cose che abitano il nostro orizzonte. Finora tutto
questo ci sfuggiva, perché oscurato dalle cose che gli facevano velo. Possiamo
riappropriarci dell’invisibile. Ora lo sappiamo: serve una misura di tempo,
spazio, silenzio, per farlo davvero.
(foto La Repubblica)
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Il coronavirus ci ha
portato a scoprire un tessuto urbano sconosciuto, cambiando per necessità il
“paesaggio” del lavoro, del divertimento, persino della sofferenza
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