Storie di isolamento: essere brave sarte oggi. Dai vestiti alla moda
alle mascherine, il nuovo versante della creatività lavorativa
di
Marina Zinzani
La sarta provetta ha cucito vestiti, pantaloni, con i
cartamodelli. La sarta provetta sembra un personaggio dei fumetti, quando vuole
fare i vestiti di Carnevale alla sua nipotina, un anno ha creato un abito da
principessa da fine del mondo, un altro anno l’ha vestita da cagnolino bianco
con macchie nere, una cosa deliziosa.
La sarta provetta ha un altro lavoro, e cucire la distrae.
E’ un hobby, che dà spazio alla fantasia e le permette anche di creare con
pochi euro dei vestitini niente male. Uno stile personalizzato, si direbbe. Più
o meno.
La sarta provetta ha imparato da bambina a cucire, andava da
una sarta, c’erano delle ragazze e un via vai di donne che andavano a provare i
vestiti, se li ricordava i primi approcci con l’ago, imbastire, fare un orlo, era
un miscuglio di ritagli di stoffe e alla fine qualcosa nasceva di sorprendente,
con le sue mani.
Era una donna buona, la sarta da cui andava, c’era vita, si
raccontavano fatti, novità del paese, e se la ricordava bene mettere gli spilli
sull’abito che la signora di turno provava. Abiti, stoffe, colori, mani che
creavano. Oggi malinconia, perché quella persona non c’è più.
Oggi la sarta provetta è andata in depressione, ha avuto un
momento di depressione, è semplicemente annichilita ed ha una paura fottuta,
questo direbbe suo nipote, che non vede da più di un mese. Ognuno a casa
propria, in un isolamento forzato. Per colpa del coronavirus, per colpa
dell’epidemia che nessuno aveva previsto.
La sarta provetta deve arrivare a sera, la domenica, il
sabato, quando è a casa. E’ sola, separata, e qui manca veramente tanto
un’altra persona, se non altro per farsi coraggio. Affrontare questa
situazione, così piena di incognite, affrontarla da sola è terribile. Il figlio
è in un’altra casa, ha la famiglia, si sentono per telefono. Tutto qui. Qualche
amica, con cui parlare di quello che si vede alla tv. Qualche programma che
aggiunge angoscia ad angoscia.
Bisogna difendersi. Bisogna reagire. La parola resilienza,
no? Bisogna non lasciarsi sopraffare dalla paura, e tirare fuori tutta la forza
che uno ha, soprattutto quella che non sa di avere. Quelli che escono ai
balconi e parlano con i vicini, cantano, tirano fuori le bandiere, gli
striscioni con su scritto “Andrà tutto bene”, quelli si danno da fare. E lei,
lei cosa fa? Niente, sta chiudendosi nelle sue paure, è pessimista
sull’evoluzione della malattia, per non parlare della crisi economica
inevitabile che ci sarà.
Il pensiero all’improvviso va a quella donna che le aveva
insegnato a cucire, non se l’era passata bene ad un certo punto, si era
ammalata. Le viene un senso di malinconia, le verrebbe da piangere, è fragile,
forse la vista di quei camion militari pieni di bare l’ha sconvolta, muoiono le
persone, muoiono e si è terribilmente fragili.
Quei pomeriggi da bambina erano belli, spensierati. Le hanno
insegnato qualcosa. Ora può cucire più o meno quello che vuole, con i
cartamodelli. Qualcosa le ha lasciato quella sarta.
Bisogna difendersi. Anche dai ricordi. Costruire e guardare
avanti. Avere un ruolo, in qualche modo. Trovare una propria collocazione in
questa tragedia collettiva. Anche quello
che ha iniziato lasciando i biglietti “Andrà tutto bene” in forma anonima, non
si sa chi è stato, anche quello ha avuto una sua funzione. Sta aiutando gli
altri. Per non parlare dei medici, degli infermieri, che rischiano la vita ogni
giorno, in prima linea. La loro vita ha un senso, ha uno scopo. Eroi, sì,
perché non si tirano indietro di fronte ai rischi e ai turni massacranti. Anche
quelli che consegnano cibo a chi non ha nulla, i volontari delle mense, anche
quelli hanno una missione. E’ una cosa bella, questa.
E lei? Deve darsi da fare, no? O deve stare tutto il giorno
davanti alla tv, a sentire che il numero dei morti cresce?
Insomma, non è una sarta provetta? Così aveva detto una
volta alla sua nipotina, per farla sorridere. Una sarta che sa cucire per ore.
Una sarta che saprebbe tirare fuori da vecchie tele una, dieci, cento
mascherine. No, non sono quelle a norma, ma non si trovano quelle a norma, e
allora potrebbe farle lo stesso, e regalarle, ad esempio alla vicina che si
lamentava di non averla, a quelli del suo ufficio.
Cerca delle vecchie stoffe, resistenti, ha dell’elastico, si
mette all’opera. Taglia, fa le pieghe, fa l’orlo. Una, due, cinque. Passano le ore,
e la macchina da cucire va veloce, e adesso si tratta anche di farle carine,
perché no, alcune con la stoffa a fiorellini di vecchie camicie, altre con dei
girasoli.
Una con i girasoli è sua. Un raggio di sole, aiutare gli
altri.
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