Il’77: dalla
contestazione alle manifestazioni, alla lotta
armata, sino al riflusso personale. Tanta carne al
fuoco, senza una sintesi propositiva
di Davide Morelli
Simonetta Frau, allora
studentessa ventiduenne, immortalata con un fazzoletto che le copriva parte del
volto, divenne icona delle ragazze del settantasette. Recentemente la Frau è
scomparsa a sessantaquattro anni, stroncata da un male incurabile. Altra fotografia
altamente rappresentativa dell'eversione di quell'anno ritrae Giuseppe Memeo,
col volto coperto da un passamontagna, che nel corso di una manifestazione di
autonomi impugna un'arma.
Il sessantasette fu
caratterizzato nell'ambito della sinistra extraparlamentare dal movimento
studentesco, quasi sempre pacifico, e dagli autonomi. Ma esistevano, anche se
in disparte, i giovani democristiani di Comunione e liberazione. Il
settattantasette iniziò con la fantasia, con le utopie e la demagogia. Vanno
ricordati i fricchettoni del Parco Lambro e gli indiani metropolitani, che
rifiutarono quasi sempre la violenza e non fiancheggiarono mai le brigate
rosse.
Quella generazione
riuscì ad essere propositiva non solo con i seminari autogestiti delle facoltà
ma anche con la nascita delle radio libere. Le due colonne sonore del movimento
furono "Ma chi l'ha detto che non c'è?" di Gianfranco Manfredi e
"Ho visto anche degli zingari felici" di Claudio Lolli. I
sessantottini erano i loro fratelli maggiori. Confluirono nel settantasette le
cose più disparate tra cui la controcultura americana, le filosofie orientali,
il maoismo. C'era naturalmente chi chiedeva la luna.
C'era anche una spinta
anarcoide nel senso più deteriore del termine. Alcuni erano disfattisti.
Andavano in gruppo nelle osterie e poi non pagavano. Altri chiedevano il
ventisette politico. Altri volevano l'attacco al cuore dello Stato. Altri
ancora rubavano nei supermercati. C'era chi riteneva giusti gli espropri
proletari. Finì tutto con gli scontri di piazza, le morti di Giorgina Masi e
Francesco Lorusso, la cacciata di Lama, la p38 considerata come una compagna.
Forse Tondelli, gli Skiantos, Claudio Lolli, Andrea Pazienza, nati nell'ala
creativa di quel movimento studentesco, sarebbero stati lo stesso degli autori
di rilievo da soli.
Il movimento covava nel
proprio seno la serpe della violenza e ciò alla fine rovinò tutto. Era
caratterizzato da troppe contraddizioni insanabili. D'altronde come scriveva
Guccini a venti anni si ha la testa piena di balle. Non c'era perciò la piena
consapevolezza. Non si poteva certo chiedere la responsabilità del buon padre
di famiglia. Forse alcuni benpensanti non hanno mai approvato gli elementi
ludici, trasgressivi, folcloristici di quel movimento. Di certo alcuni giovani
del settantasette fraintesero la concezione di antifascismo militante di
Berlinguer e coniarono lo slogan "uccidere un fascista non è reato". Alcuni
erano allo stesso tempo persecutori e perseguitati.
Di carne al fuoco quei
giovani forse ne avevano messa tanta. Troppa. Forse era impossibile rielaborare
tutti quegli input. Poi ci fu il riflusso. Alcuni di quei giovani fecero lotta
armata. Molti altri morirono con l'eroina. Ognuno divenne una storia a sè.
Molti si imborghesirono. Il concetto principale del settantasette "il
personale è politico" per una sorta di legge del contrappasso si invertì e
la politica divenne un fatto personale.
Quella fu l'ultima generazione che ebbe
una coscienza collettiva e si pensò collettivamente. Il movimento della Pantera
o delle occupazioni negli anni novanta non era così rappresentativo di una
generazione e non era così espressivo. Bifo, oggi professore ma allora uno dei
leader studenteschi di quegli anni, ha dichiarato che il movimento del
settantasette aveva come priorità la ricerca della felicità.
Chi volesse approfondire
l'argomento può leggere "Ali di piombo" di Concetto Vecchio, che si è
documentato ed ha narrato tutti gli avvenimenti e i protagonisti principali di
quell'anno. In definitiva che cosa resta del settantasette? Che cosa ci ha
lasciato? Che cosa abbiamo ereditato? Le istanze di quel movimento sono state
rimosse. Chi ha vissuto quel periodo ne ha nostalgia sicuramente e forse un
grande senso di vuoto.
Ancora oggi alcuni si chiedono se quei giovani erano
veramente di sinistra e se volessero la rivoluzione o meno. È difficile
imbattersi in una persona che dice di avere fatto il settantasette. C'è una
certa ritrosia. Pochi ne vogliono parlare. Forse sono cambiati troppo i tempi e
queste persone probabilmente hanno paura di non essere comprese o di essere
giudicate male. Forse la distanza è incolmabile con i giovani di oggi ma anche
con i quarantenni attuali.
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