Come
cambia la nostra vita, ora che il coronavirus ci costringe a casa? Rinunce, abitudini stravolte. Anche la riscoperta di interessi e passioni. Ritmi che possono dare nuovo senso alle relazioni e agli affetti: immaginiamo un futuro più positivo
(ap*) Tutti a casa. Molti lo ricorderanno. Era il titolo del film di Alberto Sordi che raccontava
il ritorno di alcuni soldati dopo la guerra, un momento fortemente desiderato
per anni, e reso amaro dalla sconfitta subita. Il nostro Albertone aveva saputo
descrivere da par suo quello stato d’animo intriso di amarezza, delusione, ma
anche speranza. Ora invece è la parola d’ordine di tutta un’altra storia. Ha
sempre a che fare con una battaglia, ma molto diversa.
Combattuta senza armi da fuoco, contro un nemico che non si fa vedere e sa insinuarsi tra le nostre fila.
Combattuta senza armi da fuoco, contro un nemico che non si fa vedere e sa insinuarsi tra le nostre fila.
Questa è la risposta che possiamo dare, rintanarci tra le
mura domestiche, trovandoci a mani nude contro il male sconosciuto che avanza. Accade
a causa del coronavirus naturalmente, non ci si muove da casa per decreto, per
paura o semplice buon senso. Un sentire che percepiamo comune, salvo eccezioni
rarissime, a dispetto della nomea di popolo di pervicaci individualisti senza
regole. Nella speranza che finisca presto, non ci siano troppi danni, e che si
possa riprendere in fretta la vita di sempre.
Intanto ci
si ferma, tutti a casa, e ci guardiamo intorno. Nelle nostre case,
diventate all’improvviso il nostro ambiente di vita quasi esclusivo. Una
situazione insolita, sorprendente. Da vivere soli, o insieme ai parenti. Come
l’abbiamo presa e cosa facciamo nel nuovo contesto che ci si è spalancato
davanti? Va bene, prima vengono i doveri più immediati e riempiamo la giornata
con le cose irrinunciabili.
Abbiamo fatto la spesa, il lavoro lo possiamo svolgere da
casa, è smart ormai, anche le medicine ce le siamo procurate in abbondanza,
caso mai ci prendesse di notte un mal di testa. Ci mettiamo anche la telefonata
alla vecchia zia bisbetica che evitiamo di solito con la scusa della mancanza
di tempo, che ora non abbiamo più. Nessuna giustificazione per uscire, di
quelle che il governo ha autorizzato in questi tempi. Dunque tutti qui tra le
mura domestiche. Ma poi?
Per esempio, gli altri che fanno, tanto per regolarci un
po’? I vicini, quelli rumorosi che litigano sempre, sono improvvisamente
silenziosi: non sarà che si sono dati delle coltellate e l’hanno fatta finita? Era
pure ora, alla fine possono averne avuto il tempo. La follia della restrizione
forzata è una spiegazione plausibile, lo dicono alla tv che in certi casi si
può perdere la testa.
Oppure quegli stessi hanno fatto i furbi, gli urlacci erano
tutta una manfrina: saranno usciti da casa, in barba alle leggi. L’avevamo
capito che erano criminali, per loro la salute degli altri non conta niente. Lei
poi, con quella faccetta da santarellina. Deve aver ordito tutto lei, altro che
il marito, che passava come il perfido di casa. Erano giorni che caricava certi
strani sacchi in auto.
E noi, qui nelle nostre case, grandi, medie, piccole, come
ce la caviamo? Un senso di vuoto, di smarrimento. Spaventati di fronte alla
necessità di cambiare le abitudini, sorpresi dalle novità, qualche volta
incapaci di reagire. Magari incuriositi da nuove possibilità. Disposti a
sperimentare qualcosa di differente, ora che il tempo libero è aumentato. Appunto,
che fare?
Sono “nuovi” gli ambienti in cui vivere: li conosciamo
perfettamente, ma ora presentano qualcosa che non avevamo notato e che ci
lascia stupiti. Avremo attacchi di panico? Soffriremo di claustrofobia? Accade anche
quando
si è soli, anzi proprio per questo. Certo dovrebbe essere una condizione
consueta quella di stare in casa per i single, se hanno scarsi rapporti sociali.
Ma fino ad un certo punto. Improvvisamente c’è una dilatazione dei tempi e
delle spazi, le misure cambiano. Ci confrontiamo comunque con una dimensione
differente.
Pesa forse la mancanza dei contatti con la gente qualsiasi:
andare al market, comprare il giornale, fare una passeggiata, i piccoli riti
della giornata sono un’occasione per scambiare due parole, al di fuori delle
relazioni di lavoro. Un modo di socializzare. Così sembra tutto più grande,
dalla giornata alle stanze. Di riflesso, pure il bagno, che in sé è un locale non
grande, ci sembra più ampio. Prima ancora di chiederci cosa fare in queste
giornate a casa, si percepisce un senso di vuoto attorno. Si è avvolti da
silenzi, che rendono diversi gli spazi.
Non meno strana
è la casa quando la famiglia è numerosa, e si vive in compagnia di coniuge,
figli, magari anziani parenti. Tutti lì, nello stesso luogo, per parecchio
tempo, a distanza ravvicinata, con usanze stravolte. Da quando non si pranzava
tutti insieme, compresi i piccoli dell’asilo, i ragazzi dell’università, il
coniuge impegnato fuori? E poi le cene, spesso a dimensione ridotta: chi usciva
con l’amico, chi faceva tardi dal lavoro perché c’era stata una riunione
improvvisa, chi si era fermato a parlare con qualcuno che non vedeva da
parecchio.
Nelle famiglie numerose, la percezione del rimanere a lungo
in casa è opposta a quella provata dai single ed è difficile dire chi stia
meglio. Per caso manca anche l’aria, oltre lo spazio quando si è in molti? C’è
il rischio di soffocare. La relazione di coppia è messa alla prova, se è vero
che più frequenti possono essere i motivi di attrito, le ragioni di litigio.
Che magari provocano l’implosione del rapporto. Prima o poi potremmo avvertire
la nostalgia dello smog di strada e del vociare insopportabile dei colleghi di
lavoro nelle pause pranzo o sul treno da pendolare (dove c’è sempre quello che
non è mai stanco e ha voglia di dire la sua).
Sopravvivere
nonostante i cambiamenti. Oppure provare a vivere? Magari meglio di quanto
ci immaginassimo, una volta passato lo spavento. A prima vista, molte risorse
trascurate. C’è la tv, a cui prestiamo poca attenzione, perché le notizie le
leggiamo sullo smartphone, e quando vogliamo vedere un video, approfittiamo dei
ritagli di tempo. Essere davanti alla tv in poltrona è un rituale che già porta
novità: rilassatezza e tranquillità.
Un ritmo diverso. Sono i vantaggi del vecchio rispetto al
nuovo. Ci sono poi libri e giornali, un mondo da riscoprire: era tanto che non potevamo
dedicarci alle “buone letture”, tutto un testo dall’inizio alla fine,
sprofondati in poltrona, un whisky in mano, anche se ne sentivamo la mancanza,
e lo dicevamo a tutti, senza fare nulla.
Oltre che causa di contrasti, la vicinanza potrebbe dare spunto a due chiacchiere gradevoli, magari anche ad un chiarimento che avevamo in mente e che avevamo rimandato a momenti migliori. Per non dire della possibilità di mettere a punto qualche progetto, forse la nostra vita ha bisogno di cambiamenti. Cose semplici, o più complesse, da mettere in pratica, per dare senso alle nostre giornate. Non che non l’avessero prima, ma ora possiamo anche scoprire o riscoprire altre realtà, capaci di arricchire l’esistenza.
Oltre che causa di contrasti, la vicinanza potrebbe dare spunto a due chiacchiere gradevoli, magari anche ad un chiarimento che avevamo in mente e che avevamo rimandato a momenti migliori. Per non dire della possibilità di mettere a punto qualche progetto, forse la nostra vita ha bisogno di cambiamenti. Cose semplici, o più complesse, da mettere in pratica, per dare senso alle nostre giornate. Non che non l’avessero prima, ma ora possiamo anche scoprire o riscoprire altre realtà, capaci di arricchire l’esistenza.
Ci viene in mente che abbiamo conservato molte cose nei
cassetti. Ricordi, momenti incantevoli, incontri fantastici, tante delusioni,
cose spesso inutili. C’è il cassetto delle cartacce da riordinare, buttando il
superfluo o l’inservibile. Quell’altro delle foto, da rivedere con calma, per
ritrovare qualche istante felice, le persone con cui abbiamo condiviso un po’
di felicità. Quanto tempo è passato e come siamo cambiati, non abbiamo avuto
nemmeno modo di rendercene conto, l’espressione diversa, le rughe in più. Almeno
i capelli sono rimasti uguali, mancavano anche prima.
Nessuno immaginerebbe che c’è pure quell’altro di cassetto,
in fondo all’armadio, e noi stessi ce ne eravamo dimenticati, contiene una
bella risma di carta. Difficile credere che possa racchiudere un progetto
segreto, scrivere il romanzo che nessuno potrà mai dimenticare. E’ di carta
quel progetto, e già questo fa capire che sono trascorsi molti anni. Non
c’erano i computer, poi non l’abbiamo più preso in mano quel testo, per
rivederlo e trasformarlo in un file word.
Carta forse ingiallita: usavamo la Olivetti lettera 22,
veloce e ultra moderna, la stessa con cui abbiamo scritto la tesi di laurea,
imparando anche a picchiettare sui tasti, il primo esercizio tecnologico. Anche
mitica e iconica, come si dice ora, quella 22,
la macchina usata da Indro Montanelli nei suoi servizi dalle zone più
pericolose del mondo. Anche questo la rendeva più importante. Ora la nostra 22,
assai meno gloriosa, è tra i ricordi più cari, sul lato destro della libreria.
E ci manca il suo ticchettio.
Il tempo lento che viviamo in questi giorni non sono
soltanto una rinuncia od un sacrificio. Certo segna il cambiamento di molte
abitudini e qualcuna rimane preziosa e irrinunciabile, la riprenderemo al più
presto. Ci suggerisce anche altro. Come possiamo scoprire vivendolo tra le mura
domestiche, da soli o in compagnia, senza uscire se non per necessità.
Più che trovare qualcosa da fare tanto per farlo, in attesa
che tutto torni come prima, fermiamoci con la mente a riscoprire le nostre
qualità migliori: l’energia, la vitalità, la passione per vita. Come? Possiamo
cercare, nel ritmo nuovo della diversa quotidianità, le tracce e i segni che
nel tempo hanno scavato nell’esistenza, formando una parte così importante
della nostra biografia.
Per accompagnare gli attuali momenti di permanenza forzosa in
casa, e darci conforto, molti ricordano che in passato abbiamo rinunciato a ben
altro. Come i nostri padri, che hanno affrontato la guerra subendo la disfatta,
e prima avevano già perso tutto, a cominciare dalla libertà, trovandosi davanti
al compito immane della ricostruzione. Tirare fuori il paese dalla catastrofe,
l’obiettivo di allora. Qualcosa di simile, cambiati i tempi e i problemi, anche
oggi.
Compaiono disegni e scritte: “Andrà
tutto bene”, “Ce la faremo”, e non sono note stonate, in un momento in cui
il paese è messo a dura prova. Ottimismo insensato? Piuttosto, un augurio
sincero, un’espressione di coraggio e fiducia, ora che ce la stiamo mettendo
tutta. Possiamo dirci serenamente che stavolta non abbiamo preso nulla sotto
gamba e abbiamo saputo reagire a dovere. Un po’ è motivo di orgoglio, e anche
questo ci può dare forza. Ne abbiamo proprio bisogno.
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