di Paolo Brondi
Da sempre le guerre, le violenze di
gruppo, le sopraffazioni, hanno avuto tra le vittime non solo donne, bambini,
uomini, ma anche le cose più belle delle civiltà: i templi, i segni religiosi,
le opere artistiche più espressive e irrepetibili.
A partire dai romani, con la distruzione di Cartagine, fino al secolo scorso, durante la Seconda guerra mondiale. la rovina investe città, monumenti, monasteri: il monastero di Montecassino in Italia, le città di Dresda in Germania, Varsavia in Polonia, e moltissime altre. Ancora oggi è condividibile la sottile ansia di dissoluzione universale, patita da autori pagani della tarda latinità, di fronte alla desolazione di una Roma, nel momento degli ultimi bagliori d’una gloria ormai lontana. Nell’ultimo decennio, infatti, commossi e stupiti abbiamo assistito alla tragica dissoluzione di millenari tesori dell’arte.
A partire dai romani, con la distruzione di Cartagine, fino al secolo scorso, durante la Seconda guerra mondiale. la rovina investe città, monumenti, monasteri: il monastero di Montecassino in Italia, le città di Dresda in Germania, Varsavia in Polonia, e moltissime altre. Ancora oggi è condividibile la sottile ansia di dissoluzione universale, patita da autori pagani della tarda latinità, di fronte alla desolazione di una Roma, nel momento degli ultimi bagliori d’una gloria ormai lontana. Nell’ultimo decennio, infatti, commossi e stupiti abbiamo assistito alla tragica dissoluzione di millenari tesori dell’arte.
Terribile è lo spettacolo della
riduzione a macerie e polvere delle statue dei Buddha di Bamiyan, in
Afghanistan, risalenti al 1800 e 1500; del minareto selgiuchide della grande
Moschea e del mercato coperto medievale, nella città vecchia di Aleppo. Enormi
danni sono arrecati al teatro romano di Bosra, nel sito di età ellenistica e
romana di Palmira. A gravi saccheggi sono esposte le città di epoca assira, poste
nella valle del fiume Khabur, maggior affluente dell’Eufrate. Queste e tante
altre le catastrofi, che, nell’infittirsi, hanno favorito l’abitudine, con la
conseguente riduzione del tutto allo scontato caos del mondo orientale, e
scarse sono le voci elevate a cantare la malinconia della gloria e potenza
delle sublimi strutture storiche così irrazionalmente disfatte. Pochi sono
capaci di ripetere la fermezza e la protesta di Montaigne quando osservò i
nuovi romani che, in Roma aggrappavano le loro case a quel poco che restava
della grandezza umiliata.
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