Tagliatelle al ragù: miscuglio
magico di sapori. Ma il tempo e i ricordi cambiano ogni cosa
di Marina Zinzani
Il
tempo passa. Passa anche per noi. Sono ormai trent’anni che siamo sposati, io e
mia moglie. I nostri corpi sono cambiati, i capelli ingrigiti parlano di un
cammino che è arrivato fin qui, bene o male. In fondo siamo stati bene.
Io
e mia moglie siamo tornati, sull’onda dei ricordi (cosa patetica può sembrare,
forse ovvia), in un antico borgo sulle colline, un po’ distante da dove
abitiamo. Ci passammo una notte, nell’unico albergo del luogo, e fu una breve
vacanza suggestiva, fatta di passeggiate fra sentieri alberati, e tanta buona
cucina. Si ricorda poco delle vacanze, o delle gite fuori porta. Si ricorda un
ristorante, un proprietario, un piatto. Io di questo borgo ricordo ancora bene
l’albergo, rustico, che aveva anche un ristorante aperto a tutti. Poi ricordo
il proprietario, uomo affabile, con cui trascorsi la sera a discorrere di cose
amene. E infine ricordo il ragù, per la precisione le tagliatelle al ragù.
Il
borgo è rimasto più o meno lo stesso, il tempo sembra essersi fermato: vita
lenta si respira, e profumi di cucina, di carne alla griglia, di basilico, di sughi
invitanti, invadono la strada principale: piccola, su cui si può andare solo a
piedi.
Siamo
entrati nel ristorante, il ricordo ancora vivo di com’era quel luogo ha ceduto
il passo al senso di mutazione delle cose: tutto cambia, i locali si rinnovano,
niente del ristorante vecchio stile è rimasto. Tutto bianco, asettico, con
appena un quadro del borgo che doveva rimediare, grossolanamente, alla mancanza
di uno stile antico, ricercato.
Ci
siamo seduti. E’ arrivata una ragazza, non italiana, ma non ce l’ho con chi non
è italiano, sia chiaro, però non ha capito bene l’ordinazione, e si è sbagliata
sull’acqua. Non era niente, capita. Poi abbiamo ordinato le tagliatelle al ragù:
certo, non pretendevamo che il cuoco fosse lo stesso dopo così tanti anni, però
qualche aspettativa l’avevamo. Quel miscuglio di sedano, carota e cipolla, il
macinato di bovino e suino, la passata di pomodoro, come in un processo
alchemico, fanno nascere uno dei piatti più buoni che esistano: il ragù, che ha
un vago colore arancione, e si sposa così bene con la pasta all’uovo.
Ambiente
freddo invece, dovevo capire subito come sarebbe andata a finire. Il piatto è
arrivato, poco dopo. Le tagliatelle non erano fatte in casa, ci scommetto:
regolari, un po’ sottili, oserei direi troppo simili a quelle che si trovano
nei supermercati, confezionate. E il ragù: beh, quando si dice “senza infamia e
senza lode”.
Quando
siamo usciti, io ho guardato il ristorante, l’albergo che aveva ospitato due
giorni felici. Mi appaiono felici, oggi. Pioveva, e tutto sembrava perfetto: il
calore del proprietario, il cibo che soddisfaceva anche il palato più esigente,
la sensazione di casa, pur essendo un albergo.
Ora
non c’è più niente di tutto questo. Ricordo solo della mente, che spero non
svanisca mai.
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