Nel solco
dei celebri versi leopardiani dedicati alla luna, domande legate al presente, reso problematico da tanti cambiamenti sociali
di Bianca Mannu
Che fai tu, luna,
in ciel? Dimmi che fai
silenziosa luna?
Così t’appellò –
notturno –
il pastore
solitario
che sé e non
altri pasceva – guardando alto –
di dormienti
gemme e biade
di dottrine e
sogno
innalzando per te
a se medesimo
quesiti
che anche intuissero
Tacesti intendendo
- come credeva Brahe - eterea luna?
O tacque tua
natura di sasso in omaggio a Galileo
lasciando il peso
dell’alea
al conscio
querelante?
E insistendo
retorico pareva
mentre per contro infilava felpata
forse una – una
sola inquieta – equivoca riposta
leggiadramente
tirando
il rigo della
somma.
Vergine e muta
viaggiasti dopo
e ancora per
cent’anni –
celeste amuleto
di menestrelli e amanti.
Bigotto - l’uomo
del fare
teneva avidi a
terra gli occhi
e dalla terra
chiedeva promozioni a Dio
corrispettive al
tasso attrattivo dei profitti.
La “meglio
gioventù” einsteiniana
mentre scontava a
“sbalzi di coscienza”
la sua combutta
coi corpi militari
di telescopi i
non più limpidi occhi armata
da lontano –
quasi tu fossi nuova –
i tuoi moti spiava computando
ogni tua sostanza e stato di natura.
Appuntati al
bavero dei leaders
in guisa di
emblemi rilucenti
apparvero i dotti
resoconti
e tu forzata a
scendere
la scala
verticale dei chilometri
paresti facile …
Facile … e anche
un po’ ruffiana
tra due esosi e
muniti contendenti
cui facesti da
posta per l’esclusivo primato di ciascuno
e al momento da “donna
dello specchio”
per conto della
Terra intera
tratta nel gioco in
pallida figura
e franta in maschere
turbate
sulla bisca più
spettrale e turpe.
Concitati deliri
di vittoria sul proscenio
officiati da aedi
consacrati
tornano morti
sugli schermi:
piccoli umani si
contesero i troni dell’Olimpo
perché tu nel
volto e sulla nuca denudata
le
umane – ben difese – zampate ricevesti
e
quelle umanamente disumanate
di
efficienti insetti di metallo
come
eruttati da incubi creativi …
Ma
tu- luna violata – ancora danzi lassù
la curva geometria
del
tuo riverbero discreto
tenendo
in non cale
l’enfatico
“sciorino” di icone scolorite
offerte
alla memoria corrosa delle genti
coinvolte
in trame troppo prossime – acremente.
Il
solito ometto in cima alla sua corte
oggi
nutre con piglio onnipotente
una
certa voglia di rimessa
che
monta sorda oltre i “droni” del momento:
assemblare
un profittevole percorso d’allunaggio
per
bizzarri turisti danarosi
e
forse – perché no? – un lunavìa
per
spedire lassù a costi – chi sa? - finalmente contenuti
frazioni
d’accumulo “umano troppo umano”
delle
più sviluppate e scomode nequizie
che
pur lente fermentano minacce
alle
morbide terga dei potenti.
Gioca
buono per me funambola pensosa
l’inospite
tuo contesto del momento – luna celeste.
Potrà
cantare “Blu moon” chi vivendo
vellicherà
il tuo distrutto mito
e
godrà del tuo gratuito argento
sul
mare e sulle pur mutate cose.
Per
sottili quesiti leopardiani
non
sarai forse più
– come leggiadramente fosti - l’eletto grembo.
Ma
l’uomo - con o senza la maiuscola –
continuerà
per qualche minuto siderale
ad
affiorare dalla sua babele tecnologica
per
interrogarsi sul senso - esagitato o compiaciuto -
del
suo assurdo momento
al
cospetto dell’impenetrabile grandezza
che
contenendolo lo ignora.
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