“La vita invisibile di Euredice Gusmao” del regista Karim Ainouz. Due
sorelle nella Rio de Janeiro degli anni ’50. Il giudizio sociale, i sogni
mancati, il conflitto con la mentalità maschilista.
di
Marina Zinzani
Esistono
cose che tu non puoi sapere, cose segrete, convenzioni taciute che cambiano le
vite, i destini. Esistono cose che accadono in silenzio, non si sanno, non si
devono sapere. Esistono cose che sono come
piante malate che attecchiscono, e diventano piante carnivore. Non diresti che
lo siano, dall’aspetto, ma il contatto con una di loro un giorno ti segna per sempre.
Esistono
cose, e morali, che vanno sopra a tutto. E quando le vite diventano foglie
secche è troppo tardi per rimediare. E’ la morale decisa da qualcuno, in alto,
o dal vicino di casa, da tanti vicini di casa, morale borghese ma non solo.
La
lotta per liberarsi di questo e affermare la propria identità, le proprie
scelte, non è mai finita. Perché sono piante avvolgenti, che si mischiano ad
altre piante, ci si confonde, e il senso dell’errore, dell’essere sbagliati, è
sempre dietro l’angolo. E nulla si può fare per far comprendere la propria
interiorità a chi è vicino, se l’altro non apre il cuore.
La
famiglia è amore, non è sangue, dice una delle protagoniste del film. E’ qui,
in questa frase, la verità tragica e tremenda di tante storie.
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