Racconti dedicati a figure moderne e antichissime. Evocano suggestioni, pongono interrogativi. Oggi, lo scrittore.
Già pubblicato: L’attrice.
di Laura
Maria Di Forti
(ap)
Quante volte ad uno scrittore, o aspirante tale, è stato chiesto di spiegare
perché ha iniziato a scrivere, oppure di descrivere le sue giornate di lavoro.
Alla ricerca degli imperscrutabili segreti di un “mestiere“ che sorprende ed
affascina. Tante risposte diverse, e differenti sollecitazioni. Mai del tutto
chiare e risolutive.
Vorremmo
poterne carpire qualcuno, di quei segreti, perché sono così gelosamente
custoditi?, scoprire – fra indicazioni sulla tecnica o sui progetti coltivati -
il perché della strana attrazione verso
la parola, scritta o semplicemente letta. La domanda che più ci turba.
Quel
fascino lo proviamo come lettori, quando avvertiamo l’inconfondibile profumo
della carta che la riporta e ne rimaniamo confusi. Come praticanti della
scrittura: per passione, diletto o professione. Applicati alla più difficile
delle ricerche, il modo di esporre un’idea, raccontare una storia, comunicare
un’impressione.
È
un tentativo piuttosto maldestro di interrogarci in fondo sulla sensazione
improvvisa di bellezza che avvertiamo in certi momenti. Ma non è solo questo.
La parola è inciampo in un cammino già difficoltoso. Costringe a fermarci, per
guardarci intorno, ed osservare meglio ciò che ci circonda, oppure in basso la
stessa strada finora percorsa, i passi compiuti.
Non
basta. Già in anticipo quando tutto sembra tranquillo, temiamo che qualcosa
possa turbarci, sopraggiungere all’improvviso, su un percorso che era sgombro
da pericoli. Non siamo mai abbastanza pronti né per evitare l’ostacolo né per
affrontarlo a dovere. A volte ci fa cadere, e rialzarsi è difficile e doloroso.
Oppure
ci provoca un senso di vertice, di follia e percepiamo il gusto sottile e
inebriante di aver colto qualcosa che fino a quel momento ci sfuggiva, come
lepre imprendibile nella boscaglia, e noi lenta tartaruga sempre in affanno.
Ma
è solo un attimo. Essere andati a segno, aver centrato l’obiettivo spesso è
solo l’illusione che ci rasserena sul momento, prima che sopraggiunga una nuova
inquietudine. Difficile trovare una sosta appagante in qualche caldo rifugio di
montagna e poter dire, come il personaggio di un racconto ben scritto o di una
commedia sapientemente recitata: «eccomi qui». Questo è il mio bagaglio: fatto
di alcune riflessioni ed idee; di buon umore spesso venato da angosce e timori;
furore alternato a sapiente lentezza.
Scrivere è passione. Non si scrive per
campare, si scrive perché dentro senti un fuoco che brucia e devi soffocarlo
con le parole, le virgole e i punti esclamativi.
Talvolta mi prende un’ansia e allora
prendo in mano la penna e comincio a scrivere una parola dietro l’altra, quasi
senza rendermene conto. Vengono da sé le parole, attirate le une dalle altre,
quasi avessero una propria anima e potessero decidere da sole come comporsi in
un ordine preciso.
Allora mi domando cosa ci faccio io, a
cosa servo ormai, visto che loro si permettono di venir fuori dalla mia penna e
di posarsi sul foglio con una precisione quasi maniacale. Ma alcune volte, per
mia fortuna, sento di dover dare loro un ordine, e le rimprovero anche, perché
ci sono momenti in cui fanno le ritegnose, non vogliono uscire e si rintanano
nascondendosi nei recessi della mia mente.
Ma io le scovo, le rincorro talvolta e
le sottraggo alla miseria del nulla mettendole in bella mostra nelle pagine
bianche a formare un componimento perfetto. O almeno lo è per me, che quel
componimento l’ho creato, anche se piacere a tutti certo non è possibile. Lo
diceva Teognide, un poeta greco, che perfino Giove, che è un dio, non può soddisfare
tutti.
Ma io continuo a scrivere. Scrivo
romanzi, anche solo racconti, scrivo storie di vita, quella vera, vissuta e
sofferta, talvolta subita. Scrivo di personaggi forti, vivi, reali.
Mi basta una parola sentita per caso o
un’immagine di rara bellezza vista in un pomeriggio di solitudine, mi basta un
suono e perfino anche solo un profumo, per accendere nella mia testa il
bisogno, no, l’esigenza forte, impellente, dirompente quasi, di scrivere riordinando
i pensieri. E allora nascono come dal nulla, come sorti dalle acque prima
nebulose e ora calme, i personaggi, tutti desiderosi di farsi avanti e premono,
spingono, mi incitano a fare presto perché loro vogliono prendere forma, cominciare
la storia. Loro devono vivere.
È sempre così. Giorni e giorni di
incubazione, giorni in cui i personaggi risiedono nella mia fantasia avvolti da
una folta nebbia, immersi in un mare gelatinoso ribollente di idee e poi,
finalmente, grazie ad una musica, il titolo di un articolo, o un viso, un
sorriso, o anche solo l’idea di quel sorriso, qualcosa di indefinito prende
forma, illuminato dalla vivida luce della creazione. Un’immagine dapprima
sfumata si delinea allora chiara e nitida nella mia testa e comincia piano
piano a prendere forma con alcune parole. Talvolta ne basta una a far nascere
tutte le altre, in un ritmo incessante.
Poi, di tanto in tanto, un piccolo
arresto, una titubanza. Un moto del cuore, una leggera malinconia. Bisogno di
fermarsi per far posto, forse, ad altri impulsi del cuore. Un momento di pausa è
talvolta sufficiente, altre volte sono tanti i giorni in cui il vuoto si
delinea davanti a me. Poi, improvvisamente, una nuova emozione, un suono, un
colore, un nuovo sorriso ridanno ritmo ai miei pensieri e allora quei
personaggi riprendono a colorarsi di nuovi abiti e a danzare ancora davanti a me.
E così riprendo a scrivere perché i
personaggi del libro sono furenti di rabbia e e io devo farli vivere finendo di
delineare i tratti ancora sfumati della loro personalità e donare loro la
pienezza della realtà.
Tutti i personaggi, gli eroi e le
fanciulle, i puri di cuore e i traditori che pullulano le pagine dei miei
romanzi, tutti indistintamente pretendono da me la massima attenzione e si
ribellano se sono costretti a vivere come loro non vogliono e non si aspettano.
Devo avere la massima cura di loro, rispettare la loro essenza, così come
all’inizio io stesso ho deciso che fosse. Un personaggio sa bene quali azioni
compiere e come, e se io non rispetto questa direttiva iniziale allora si
ribellano, dandomi subito la sensazione che qualcosa di distorto sta creandosi
all’interno di quelle pagine.
Sono uno scrittore. Uno che scrive
perché non sa fare altro. Potrei forse creare un oggetto, disegnare anche solo
un fiore o curare un malato? No, io riesco solamente a mettere una dietro
l’altra le parole raccontando storie e drammi, sensazioni e sentimenti e dando
voce all’essenza stessa dell’umana natura. A ognuno il suo mestiere. Io evoco
la poesia dell’immaginazione.

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