Il film “Martin Eden”, un marinaio di
umili origini e il desiderio di emanciparsi dal suo stato sociale: respinto ed
umiliato
di Marina
Zinzani
Difficile trovare le parole per
raccontare il film Martin Eden, del
regista casertano Pietro Marcello, premiato a Venezia e poi ora a Toronto,
tratto dal romanzo dello scrittore americano Jack London: sul mestiere di
scrittore, su ciò che significa scrivere, le emozioni legate alla scrittura, la
disperazione, il sogno, l'illusione, la perdita dell'innocenza, il nulla se
l'amore svanisce.
La perdita di sé stessi, lo scrigno della
propria interiorità, il mondo crudele, la sottile disperazione che accompagna i
poeti. È un viaggio, si salpa su una nave e bisogna lasciarsi trasportare. Regia
onirica, originale, spiazzante, ma nessuna parola riesce ad esprimere lo
scoppio di emozioni che riesce a dare questo film, e il suo interprete Luca
Marinelli. Fondamentale la figura di Carlo Cecchi, il maestro forse di Martin
Eden. Non ultimo, musiche struggenti e bellissime.
C'è una scena di un lirismo struggente
alla fine, quando Martin scende in strada perché ha visto un uomo che era lui,
prima del successo, e lo rincorre: commovente, straziante. Quella parte di noi
perduta per sempre, autentica, dissipata dagli eventi, dalle delusioni.
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