Irene,
che si era affaccendata a farsi bella, voleva fare colpo sugli avventori della
mescita di paese
di
Bianca Mannu
(Tratto dal libro Da Nonna Annetta, ed. La Riflessione, 2011)
Fin dal primo mattino il tempo del
giorno parve segnato dal ticchettio delle scarpette dai tacchi alti e sottili
di Irene. Ma il suo passo, ancorché vivace, risultava irregolare e nervoso
sull’accidentato pavimento della lolla. Lei andava e veniva da una stanza
all’altra recando canestrini e maioliche, più spesso, niente. E come frusciava
la sua ampia gonna di “moiré” che sua sorella Ottilia le aveva cucito!
Faceva proprio un bel vedere la sua
figura snella sulle gambe aggraziate. E sopra tutto quel blu, il faccino
rotondo, pallido come quello di Rinuccio, ostentava una piccola bocca rossa e
ben disegnata a incorniciare i dentini bianchi, regolarissimi. E io non sapevo
capacitarmi del fatto che da quella boccuccia, contro ogni speranza, uscisse invece una voce stentorea e
scura, che non amavo.
S’era tanto affaccendata davanti a
tutti gli specchi - specchietti, per la verità - per darsi un tocco di rosso e
di belletto, ma specialmente per ricavare dal ciuffo anteriore dei capelli,
tagliati “alla maschietta”, una sorta di baffo a C che doveva stare appiattito
sulla fronte.
Nonna Annetta la bloccò vicino ai
vetri. Stringendo le palpebre, la esaminò per alcuni istanti; poi fissandole la
fronte e puntandoci l’indice sibilò: “Togliti
questo tirabaci, sai! Se no, te lo levo con le cesoie”.
A quella sonata Irene, già un po’ rinfrancata per aver quasi passato l’esame,
si prese tra le dita il ciuffo incriminato e, a forza di tiratine con le dita
umettate di saliva, se lo regolò in maniera meno impertinente.
Intanto le sue sorelle sgambettavano in
ciabatte e grembiulone dietro i banchi della mescita, come se non la vedessero.
Lei, però, vi si affacciava e, un po’ pavoneggiandosi, sostava sul gradino più
alto, speranzosa di scorgere fra gli abituali avventori della mescita l’ospite
o gli ospiti evidentemente attesi e, così parata, fare colpo.
Siccome non ravvisava nessuno e neppure
voleva tornare dentro, per darsi un contegno si rivolgeva a sua sorella Dora
intenta a servire: “S’è visto
nessuno?”. Al no infastidito di Dora, voltava la schiena di scatto e
ticchettava da un’altra parte, certo alla volta della finestra del salotto
buono, da dove per un tratto poteva scorgere chiunque arrivasse.
Arrivò, invece, il boato repentino
d’uno scoppio, avanti la curva, dove lo sguardo non poteva giungere, ma l’ansia
del cuore, sì. E lei gridò senza vedere. E noi udimmo in sequenza lo scoppio e
il grido. E poi fummo tutti sul selciato, come se avessimo trapassato i muri. E
lei correva avanti a tutti, correva senza scarpe, sbattendo le ali della gonna
come un uccello colpito a morte.
Qualcuno, ignoto, s’impadronì di me e
per tranquillizzare il mio pianto, negava che fosse successo alcunché alla zia.
Poi mi dimenticarono davanti a un focolare spento, dentro una cucina che non
conoscevo, su un piccolo scranno di sambuco. Mi misero in mano una focaccia coi
ciccioli, che detestavo.
La vecchia occupava il vano della porta
aperta sulla strada. Il capannello si formava e si disfaceva. Delle facce si
stagliavano controluce, curiose … “La nipotina,vero? Poverina! Spaventata? Mangia, mangia, che non è niente!”. E intanto parlavano tra loro in sardo …
“Una burla
voltata in tragedia” dicevano. “Rinuccio? Rinuccio, chi? Di Emma, Emma Sa ‘nzonca (La cornacchia) Ahn.
Povero! E l’altro? Boh. Un soldato. Macché soldato, carabiniere! Ma chi è il morto, il soldato o
il carabiniere? Rinuccio, meschino! Già era pallido di suo! Più bianco della
sua camicia bianca! Gli occhi spalancati verso il cielo e la bocca volta in su,
a sorridere… Meschino! E dire che non ha altro segno, se non un forellino scuro
con una goccia di sangue nero aggrumato sul bordo, vicino all’attaccatura dei
capelli …”.
E fu a quel punto che ricominciai a
piangere, come se Rinuccio l’avessi ucciso io. Allora venne dentro tzia
Carminetta, una donna grassa col faccione bonario. “Non piangere” - diceva in italiano. - “Tua zia non s’è fatta neppure un graffio. Io l’ho vista, sai!”. E
nel dire, con una mano trascinò una sedia verso il crocchio, con l’altra mi
tirò a sé e mi portò sul grembo. Il crocchio s’apri un poco …
“La scura!”dissero a una voce, ma
guardavano lei che già aveva ripreso a parlare in sardo con aria sicura. “Ma l’altro - povero lui! - mica l’ha fatto
apposta. Impazzito sembrava. Niente voleva, se non scherzare … - Piangeva eh! - E vociava per chiamare a testimone Dio
dello scherzo fatto – mai fatto
l’avesse!- per significare all’amico che il matrimonio equivaleva a una
pallottola cacciata sulla fronte … Come se non fosse figlio di mamma pure
lui!”.
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