Racconti dedicati a figure moderne e antichissime. Suggestioni e interrogativi. Oggi, Il falegname.
Già pubblicati: L’attrice, Lo scrittore, L’astrofisico, La ballerina, La maestra
di Laura Maria
Di Forti
(Introduzione
di Angelo Perrone)
(ap) Quali sono le professioni più visibili nell’immaginario collettivo? Stando ai media, i medici, i poliziotti, gli insegnanti. Personaggi che compiono gesti di rilievo, risolvono problemi, annullano momenti critici. In una parola, invertono il grigiore dell’esistenza.
(ap) Quali sono le professioni più visibili nell’immaginario collettivo? Stando ai media, i medici, i poliziotti, gli insegnanti. Personaggi che compiono gesti di rilievo, risolvono problemi, annullano momenti critici. In una parola, invertono il grigiore dell’esistenza.
Nella
rassegna di arti e mestieri che mantengono un fascino non può mancare tuttavia
la figura di altri lavoratori sociali, come gli artigiani. E per tutti, quella
del falegname.
Non spiccano per fama e notorietà, ma destano comunque ammirazione, soprattutto sollecitano curiosità, ci spingono a conoscerne il lavoro, magari ci inducono a comprarne i prodotti.
Non spiccano per fama e notorietà, ma destano comunque ammirazione, soprattutto sollecitano curiosità, ci spingono a conoscerne il lavoro, magari ci inducono a comprarne i prodotti.
I processi
di industrializzazione mettono in discussione la ragione d’essere e l’utilità
pratica dell’artigianato. Eppure non mancano le sorprese: qualcosa continua a
giustificare l’interesse per le botteghe, le poche che resistono all’assalto
delle catene di distribuzione. E dove gli artigiani residui possono continuare
il loro lavoro. Che è poi quello di perpetuare, con un’energia che sa resistere
al disinganno, l’eterno confronto tra la loro intelligenza e la materia che
adoperano.
L’archetipo
della figura del falegname, e in genere degli artigiani, è addirittura un
santo, Giuseppe, patrono di questi lavoratori. Rappresentato sempre con i suoi
umili e semplici attrezzi da lavoro, al bancone di legno, è il simbolo di
secolari valori umani nel mondo del lavoro, che riescono a stare insieme: la
manualità e l’autonomia della capacità imprenditoriale. L’uso sapiente delle
mani e l’intelligenza della gestione accorta della propria operosità.
Ma,
attingendo al mondo letterario, la stessa figura del falegname trova la sua
rappresentazione simbolica più affascinante in mastro Geppetto, invenzione
narrativa di Carlo Lorenzini, detto Collodi, raffigurato come un artigiano abile
e sapiente, persino capace di compiere un miracolo: dare forma umana alla
materia, sino a riuscire a modellare il piccolo Pinocchio, un burattino che
racchiude nella sua vivacità le fantasie tutte dei bambini di ogni epoca.
Dalla storia
alla letteratura, il mito di queste figure associa, in modo strettissimo, la
manualità all’intelligenza, la sapienza dei gesti all’intuito della mente. A
dispetto di tante stereotipate contrapposizioni tra la pratica e la teoria,
sino al dissidio estremo tra il sapere scientifico e quello umanistico, la
lezione che apprendiamo è che non c’è distanza tra l’abilità manuale e il
pensiero.
Il gesto e
la mente si sviluppano insieme, si sostengono reciprocamente, trovano alimento l’uno
nell’altra. Le mani si infiacchiscono senza i suggerimenti del cervello e solo
grazie ad esso scoprono abilità sorprendenti. La mente si impoverisce senza le
azioni pratiche che proprio il pensiero sa immaginare e riesce a stimolare. In
una parola, gesto e mente si confondono all’interno di quello stesso corpo che racchiude
entrambi.
Sono un
falegname. Uno di quelli di una volta, con un vecchio bancone dove una grande
sega mi permette di tagliare le tavole di legno e costruire armadi, scaffali,
librerie. La mia bottega è un po’ antiquata, lo ammetto, inondata di polvere di
legno che si infila in ogni buco e che copre ogni cosa facendola dorare al
sole. O almeno, è quello che voglio credere io. Alle pareti, appesi in ordine
quasi maniacale, decine di pialle, tronchesi, scalpelli, punteruoli, sgorbie e
morse, e su un tavolo, quasi in bella mostra, colle, solventi e lucidanti.
Certo,
oggi i laboratori sono più grandi, luminosi e sono anche più puliti perché i
moderni macchinari assorbono la polvere di legno senza farla disperdere. I
nuovi macchinari sono anche più efficienti, e in parte sostituiscono il lavoro
dell’uomo, ma io, nel mio piccolo, sono un bravo falegname, uno di quelli che
ancora lavorano con passione. E poi,
dentro di me arde l’entusiasmo, la voglia e l’ardire di creare qualcosa che poi
andrà nelle case della gente. Ho quasi l’impressione, talvolta, che insieme ai
mobili, nelle case entri anche qualcosa di me, come se il mio spirito varcasse
le soglie e rimanesse ad aleggiare per quelle stanze. Un pezzo di me, sì, la
mia gioia per aver creato un mobile che altri useranno e che ogni giorno
accompagnerà le loro vite.
Chiamatemi
pure sentimentale, datemi del visionario e ridete alle mie spalle, fate pure. I
miei lavori, fatti col cuore, con le mie mani vecchie ormai ma ancora agili e
precise, sono parte di me, mi appartengono nella loro essenza anche se io
volentieri li cedo per dare lustro alle stanze dove risiederanno.
Il
legno è un materiale vivo, forte e caldo. Con le sue venature trasmette vigore,
rammenta la vita stessa che cresce, si sviluppa e dà compimento a una pianta
che germoglia, dà foglie, dona ombra e ossigeno e abbellisce con la sua grazia
il paesaggio circostante.
Con il
legno l’uomo ha costruito case per abitarvi, navi per solcare i mari, ponti per
attraversare fiumi e dirupi, mobili per riporre le proprie cose e utensili per
cucinare, botti per conservare il vino o l’olio e altri cibi.
Vien
quasi da credere che il legno sia vivo, che parli quasi, e d’altronde io lo
sento parlare e lo ascolto. Mi racconta di quando era ancora albero, della sua
lunga vita nei boschi, del sole che lo ha coperto di luce, dell’acqua che lo ha
nutrito e del vento che lo ha solleticato con le sue folate, scompigliandogli
la chioma lussureggiante. Rami e foglie, dapprima verdi, di un verde tenero,
chiaro e luminoso, poi farsi gialle e pian piano seccarsi al gelo invernale, in
un ciclo perenne che sempre si rinnova e mai si conclude.
Il
legno, quando viene la sera e debbo chiudere la mia bottega, mi sussurra dolci
parole di commiato, mi sollecita a lasciarlo riposare nella quiete della notte
con la certezza che l’indomani ancora mi vedrà al lavoro, entusiasta e
visionario. Visionario, certo, perché quando costruisco io immagino la vita che
farà la mia creazione, immagino saloni illuminati, bambini vocianti e risate,
feste, allegria. I miei lavori avranno una vita meravigliosa, questo io
immagino, questo io spero.
Sono un
falegname, un artigiano del legno e realizzo mobili, costruisco arredi e,
forse, immagino di essere un artista, di creare capolavori. Lasciatemelo
credere, signori, perché artigiani come me, ormai non ce ne sono più.
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