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Incontrare Fidelina

Donna in un giardino di papaveri, di V. Van Gogh
Improvviso e sconvolgente per il povero Ranieri l’incontro con Fidelina sulle strade di campagna di Gèsoli, immaginario paese della Sardegna, durante l’occupazione nazista

di Bianca Mannu
(Tratto dal libro Da Nonna Annetta, ed. La Riflessione, 2011)

Camminava leggero e più dinoccolato che mai, con la tentazione di fischiettare un motivetto. Ma lì per lì non gliene tornava in mente nessuno. Si mise a cercare nella memoria, così come si sfoglia un giornale benché raramente ne sfogliasse uno fresco di giornata. Per che farne, poi? Dato che non sapeva leggere. E se gli capitava di volerci mettere il naso, dalla confusione dei segni spiccava a malapena qualche parola, di cui non sapeva se la pronuncia era come lui la leggeva e quale significato avesse.
Però gli era capitato più d’una volta di entrare nella cunetta dello stradone per un’urgenza impellente e di aver cercato qualcosa di consistente e largo abbastanza per pulirsi. Incredibile! Aveva trovato anche intere pagine piene di figure di belle donne, di elegantoni con il cravattino a fiocco. E tutti con una pipetta in bocca dove c’erano scritte di sicuro le parole da dire. Qualcuna l’aveva persino decifrata - amore, per esempio - e quando la pronunciava si sentiva arrossire fino al bianco degli occhi, per il desiderio di trovarsi in una situazione così, così straordinaria e magica, in cui quella parola ci andava tanto a fagiolo che non avrebbe provato vergogna a pronunciarla!
Ritornò a passare in rassegna motivetti da fischiare. Gli veniva sulla punta “Faccetta nera” che spudoratamente cancellava tutti gli altri. A parte che quel ritornello era ormai fuori luogo, neppure la canzone intera gli era mai piaciuta. Stava giusto attraversando il ponte, quando alcune foglie secche si staccarono da un vecchio olmo andando a sfiorarne la spalletta prima di toccare morbidamente il suolo. Fu allora che con inattesa naturalezza fischiettò: “Ventooo, ventoooo, portami via con teeee…!”. La sua lunga figura ondeggiò per la felicità e s’inoltrò per una stradina scoscesa e incassata tra i muretti degli orti. Fischiava e marciava secondo quel ritmo.
Si era lasciato alle spalle le ultime casupole e doppiava una stretta curva, quando, mandando avanti lo sguardo per inquadrare il rettilineo successivo, la scorse. Cessò di zufolare. Non credeva ai propri occhi, perché lei stava accovacciata in mezzo alla stradetta tra il fango secco e lo sterco ancora fumante delle mucche. Ranieri metteva una gamba avanti l’altra, ma non riusciva a raccontarsi l’evidenza del fatto, se non quando furono a breve distanza. Ma lei aveva già aperto le sue grosse labbra salivanti sui denti smangiati, facendo schioccare la grossa lingua e, tra mugolii e sorrisi invitanti, si sollevò rapidamente la veste per mostrare in piena luce la sua grande e rossa vulva.
Sentirsi fuggire il sangue e fare un balzo indietro fu tutt’uno, per Ranieri. La sua lunga figura vacillò, inciampò, perse gli occhiali e ciecamente si trascinò a dare di stomaco accanto al muretto a secco che costeggiava un chiuso. Allora fu Fidelina ad allontanarsi rapidamente e a lanciargli ogni genere d’improperi.
Quando i conati cessarono, si sentì come sfinito. Sedette sul muretto aspettando che la nebbia della convulsione gli abbandonasse la vista. Aprì gli occhi lentamente per accorgersi che il mondo intorno gli sembrava il vischioso residuo di un frullato. Certo, gli mancavano gli occhiali. E cominciò a esaminare il suolo della stradina nel tentativo di distinguerli tra cacche, immondizie e pale disseccate di opunzie trascinate fin lì dal vento. Gli venne tra mano un sarmento di rovo e cautamente si mosse alla ricerca.
Nel far ciò il sole, liberato dallo schermo del suo corpo, lampeggiò tra le foglie secche. “Eccoli”. Ci soffiò sopra, li strofinò delicatamente sulla stoffa delle maniche e poi se li insellò. Si guardò intorno: le cose avevano ripreso la consistenza abituale. Ma, invece di proseguire nella direzione di prima, si voltò di centottanta gradi e puntò verso il centro del paese.

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