Il presente e la paura del nulla: quel silenzio che ci lascia senza parole
di Laura Maria Di Forti
Di cosa ho paura? Oh, beh, di tante cose, un po’ come
tutti, d’altronde, ma soprattutto ho paura del nulla. Il nulla, parola strana,
che indica la mancanza di qualcosa. E in effetti qualsiasi cosa è sicuramente
meglio dell’assenza totale, o no? Si potrebbero aprire interi dibattiti e ad
intervenire sarebbero filosofi, sociologi, psicologi e teologi.
Il nulla. Vengono i brividi solo a pronunciarla,
questa parola! Voi direte: tu non hai fede. Ma io credo di averla, ce l’ho,
anzi, ma forse non è abbastanza, ecco. Chi possiede la fede vera, quella che ti
fa sentire perennemente dentro l’abbraccio di Dio, è fortunato e vive meglio,
almeno io credo. Invece chi, come me, sente lontano un Dio che pure esiste,
prova la sensazione di essere solo, in una valle che, come dice la nota
preghiera mariana, è colma di lacrime.
E il dopo, quelli come me non se lo immaginano
neanche, è come un grande punto interrogativo che mette soggezione, sicuramente
perché la risposta è così difficile da trovare. Per tale motivo siamo così poco
attratti dall’universo trascendentale e siamo invece ancorati al presente
concreto e reale. Anche se talvolta dolente, ingrato o ingiusto, il presente è
infatti l’unica cosa che conosciamo e, pertanto, preferiamo un’esistenza così
perigliosa come è quella di ogni essere umano, piuttosto di concepire noi
stessi in un’altra dimensione.
La morte fa paura a tutti, anche se è l’unica
certezza nella vita di un essere umano. Tutto il resto, l’onore, la gloria,
l’amore persino, e tutte le doti e i vizi, possono entrare o non entrare nella
nostra vita, plasmarla o distruggerla, ma la morte, ahimè, ci coglie sempre,
prima o poi.
E allora? Ci si distrae il più possibile. Si pensa,
si scrive, si impara anche, si legge, si esce, ci si appassiona per un film o
per un attore, si riempiono gli armadi di vestiti, borse, cianfrusaglie, si
parla di tutto e si fanno viaggi, si sperimentano ricette nuove e si vede la
televisione fino a sera tardi.
Ma poi, nel silenzio della nostra stanza, quando
stesi sul letto cerchiamo di prendere sonno, allora gli interrogativi premono
incalzanti, ingigantiti probabilmente dall’ora notturna, premono con forza e
decisione, senza sosta, senza tentennamenti e con una costanza quasi maniacale.
E la voragine della nostra paura ci ingoia nelle sue profondità.
Poi arriva il giorno, arriva la luce con il sole che,
puntuale, si ripresenta ai nostri occhi, arriva la primavera che fa rinverdire
i rami secchi e riporta tutto in vita dopo il lungo letargo invernale. Una
continua girandola di giorni, mesi e stagioni e un vortice di anni che passano
come treni nella notte.
In effetti, è proprio questo il problema: il tempo
passa veloce, troppo, scorre come sabbia tra le dita, come acqua di una cascata
e, anche se scende assordante, è pur sempre passata così in fretta! Ad un certo
punto ci si guarda indietro e si ha paura perché ci si accorge che la strada
sotto i nostri piedi è quasi terminata. Ah, se avessi più fede non avrei paura
perché sarei certa che il meglio deve ancora arrivare.
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