martedì 4 agosto 2020

Paura

Il presente e la paura del nulla: quel silenzio che ci lascia senza parole


di Laura Maria Di Forti

Di cosa ho paura? Oh, beh, di tante cose, un po’ come tutti, d’altronde, ma soprattutto ho paura del nulla. Il nulla, parola strana, che indica la mancanza di qualcosa. E in effetti qualsiasi cosa è sicuramente meglio dell’assenza totale, o no? Si potrebbero aprire interi dibattiti e ad intervenire sarebbero filosofi, sociologi, psicologi e teologi.

Il nulla. Vengono i brividi solo a pronunciarla, questa parola! Voi direte: tu non hai fede. Ma io credo di averla, ce l’ho, anzi, ma forse non è abbastanza, ecco. Chi possiede la fede vera, quella che ti fa sentire perennemente dentro l’abbraccio di Dio, è fortunato e vive meglio, almeno io credo. Invece chi, come me, sente lontano un Dio che pure esiste, prova la sensazione di essere solo, in una valle che, come dice la nota preghiera mariana, è colma di lacrime.
E il dopo, quelli come me non se lo immaginano neanche, è come un grande punto interrogativo che mette soggezione, sicuramente perché la risposta è così difficile da trovare. Per tale motivo siamo così poco attratti dall’universo trascendentale e siamo invece ancorati al presente concreto e reale. Anche se talvolta dolente, ingrato o ingiusto, il presente è infatti l’unica cosa che conosciamo e, pertanto, preferiamo un’esistenza così perigliosa come è quella di ogni essere umano, piuttosto di concepire noi stessi in un’altra dimensione.
La morte fa paura a tutti, anche se è l’unica certezza nella vita di un essere umano. Tutto il resto, l’onore, la gloria, l’amore persino, e tutte le doti e i vizi, possono entrare o non entrare nella nostra vita, plasmarla o distruggerla, ma la morte, ahimè, ci coglie sempre, prima o poi.
E allora? Ci si distrae il più possibile. Si pensa, si scrive, si impara anche, si legge, si esce, ci si appassiona per un film o per un attore, si riempiono gli armadi di vestiti, borse, cianfrusaglie, si parla di tutto e si fanno viaggi, si sperimentano ricette nuove e si vede la televisione fino a sera tardi.
Ma poi, nel silenzio della nostra stanza, quando stesi sul letto cerchiamo di prendere sonno, allora gli interrogativi premono incalzanti, ingigantiti probabilmente dall’ora notturna, premono con forza e decisione, senza sosta, senza tentennamenti e con una costanza quasi maniacale. E la voragine della nostra paura ci ingoia nelle sue profondità.
Poi arriva il giorno, arriva la luce con il sole che, puntuale, si ripresenta ai nostri occhi, arriva la primavera che fa rinverdire i rami secchi e riporta tutto in vita dopo il lungo letargo invernale. Una continua girandola di giorni, mesi e stagioni e un vortice di anni che passano come treni nella notte.
In effetti, è proprio questo il problema: il tempo passa veloce, troppo, scorre come sabbia tra le dita, come acqua di una cascata e, anche se scende assordante, è pur sempre passata così in fretta! Ad un certo punto ci si guarda indietro e si ha paura perché ci si accorge che la strada sotto i nostri piedi è quasi terminata. Ah, se avessi più fede non avrei paura perché sarei certa che il meglio deve ancora arrivare.

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