Il bisogno di un avversario, per riversargli addosso ogni nefandezza
di Laura Maria Di Forti
Pare che, per vivere, abbiamo bisogno di un nemico da
affrontare o, quantomeno, di qualcuno a cui addossare le colpe, qualsiasi
colpa, e a cui rimproverare tutte le nefandezze, ogni singolo errore del
passato come del presente, ogni negligenza, brutalità, qualsiasi difetto.
Il
razzismo serve a questo, ad incanalare verso una specifica fonte la ragione di
ogni male. La povertà e il disagio sociale sono pertanto responsabilità di
una particolare classe o colore della pelle o religione così come la maleducazione,
la violenza e qualsiasi difetto, in modo da sentirci, noi che ci ergiamo a
giudici, esenti da imperfezioni, vizi o debolezze, perfetti nella nostra
estraneità a tutto il marciume del mondo.
I neri sono inferiori perché hanno la fronte bassa e
quindi hanno poco cervello in testa, sono puzzolenti e dinoccolati come
scimmie, gli ebrei sono deicidi, avari e mangiatori di bambini cristiani, e le
donne, ah, le donne, sono sciocche creature che non possono votare, guidare o
disporre di soldi o studiare. Stereotipi! Preconcetti di cui ci serviamo per
liberarci la coscienza, scovare un colpevole e credere che, con le nostre
azioni discriminatorie, possiamo migliorare la nostra esistenza.
E chi se ne importa se a pagare il fio sono quegli
scellerati e stupidi neri, o sono gli ebrei o magari gli emigranti che vengono
a toglierci il lavoro! Certo, a noi di andare a raccogliere i pomodori e le
angurie sotto il sole cocente o a fare le badanti di persone anziane e magari
irritanti, sgradevoli o noiose, non ci interessa poi molto, ma siamo comunque
pronti a dire che loro, gli emigranti, sono ladri di posti di lavoro.
Incanalare la rabbia, dicono gli psicologi.
Incanalare la rabbia con lo sport, il rilassamento muscolare e la respirazione
controllata, certo. E invece no, alcuni la vogliono incanalare verso dei capri
espiatori, assurti a origine di tutti i mali.
Siamo fatti così, noi esseri umani, pronti sempre ad
additare il dito e dare la colpa a qualcun altro. Magari perché solo di
un’altra nazione o di un’altra città o, addirittura, di un altro quartiere.
Figuriamoci poi quando ci si mette di mezzo la religione o il colore della
pelle!
In realtà quando, per una ragione o per l’altra,
veniamo veramente in contatto con il “nemico” e lo conosciamo, impariamo la sua
storia, le abitudini e la sua cultura, allora capiamo, soprattutto se siamo
stati tanto bravi da aprire il cuore e la mente. Capiamo che tanto diversi non
siamo, magari un poco, certo, ma ci rendiamo conto che le differenze sono anche
belle, divertenti talvolta, persino interessanti e, forse, qualcosa dall’altro
riusciamo ad imparare.
La conoscenza è la migliore soluzione. E così
confrontarsi, capire, imparare dopo aver conosciuto l’altro, diventerebbe
naturale, quasi inevitabile.
La conoscenza è una grande maestra di vita. Conoscere
l’altro, diverso da noi, conoscere la sua storia, quella personale di ognuno,
quella che parte dal primo vagito, uguale per ogni neonato, rosso, bianco,
giallo o nero che sia, perché il vagito è identico per tutti. Si respira, si
piange e si ride tutti alla stessa maniera, il sangue scorre nelle vene e, alla
fine, si muore.
La natura ha voluto che ogni essere umano fosse
uguale all’altro, ma noi siamo stati capaci di rendere insopportabile
l’esistenza di alcuni gruppi prendendo a prestito false teorie dell’evoluzione
o maledizioni divine. Ci serviamo di tutto pur di discriminare come se poi,
perseguitando, potessimo estirpare il male, non capendo, invece, che siamo
proprio noi l’origine di ogni male e questo, sappiamo bene, non ripaga mai.
Uniti ci salveremo, mentre giocando ai simpatici
egoisti che rubano agli altri la loro stessa umanità (siamo esperti ladri di
diritti altrui), non risolviamo i problemi del mondo, semplicemente li
aumentiamo o addirittura li creiamo. Ma i vari populisti che circolano nelle
sfere politiche e che prendono a prestito le paure, i disagi e le scontentezze
di tutti approfittando dell’impreparazione e l’ignoranza di molti, non fanno
altro che soffiare sul fuoco, montare il malcontento e far divampare incendi
catastrofici.
Ma l’odio non è mai un balsamo, non lenisce e non
cura. L’odio divampa allargandosi, si fa strada nei cuori della gente dopo
essere entrato di soppiatto, come un ladro nella notte, e in questi cuori
ciechi e sordi ristagna per poi esplodere, deflagrare come una bomba mortale. I
vari populisti ci avvelenano piano piano dando corpo e gridando le nostre paure
e addossandole a capri espiatori colpevoli solo di essere più deboli e quindi
perseguitabili. Azione, in definitiva, non solo ingiusta e crudele, ma anche di
una viltà inaudita.
E allora chiediamoci quanti innocenti siano stati
ingiustamente perseguitati, quanti neri abbiamo prima schiavizzato e poi
discriminato, quante donne abbiamo creduto inferiori, bruciato come streghe,
lasciate sole, e quanti ebrei abbiamo mandato a morire nei campi di
concentramento dopo averli per secoli ghettizzati. E ce ne sono ancora tanti di
popoli, finte razze e schiere di uomini additati come diversi e quindi
pericolosi!
Siamo bravissimi nel trovare colpevoli laddove ci
sono solamente differenze cromatiche, dove esistono diversità sessuali o
differenti credi religiosi. Siamo bravissimi, sì, ma non siamo altrettanto in
gamba nel capire che tutte queste diversità sono invece un tesoro da cui
attingere idee, spunti, argomenti che porterebbero l’umanità intera a
migliorarsi.
Forse è un’utopia credere in un mondo unito e senza
guerre, o forse no e, allora, almeno proviamoci. Proviamo a collaborare
insieme, tutti, uomini e donne, neri e bianchi, di ogni nazione, lingua e credo
religioso, ciascuno con lealtà, senza preconcetti e senza barare, ma con
fiducia verso l’altro, con la sapienza del buon padre di famiglia che vuole il
bene di tutti, perché è solo così, con la cooperazione di ognuno di noi, che ci
salveremo.
E io voglio credere che ci salveremo. Alla fine ci
salveremo, capiremo che le guerre sono solo distruttive, così come le discriminazioni
sono solo atti crudeli e sterili. Alla fine, io credo che ci salveremo e lo
faremo solo insieme, dandoci la mano e confortandoci vicendevolmente. Perché?
Perché nessuno può arrogarsi il diritto di essere
migliore degli altri, nessuno può dirsi più bello e più intelligente ma tutti,
proprio tutti, abbiamo il dovere di guardarci intorno e di fare qualcosa per
chi, diversamente da noi, versa in condizioni più disagiate. Il vero gesto da
fare non è respingere ma accogliere. Come se l’altro fosse un nostro caro, un
amico, come se, dall’altra parte, fossimo noi stessi a reclamare anche solo un
sorriso.
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