domenica 13 dicembre 2015

Quel senso del Natale che ci identifica


(ap) Una sala ricca di festoni colorati. Il bagliore delle candele accese. Lo scintillio delle palle dorate riflesso sul verde dei rami di abete. Le statuine dei personaggi intorno alla mangiatoia di una povera capanna. I pastori, provenienti dalle lontane montagne e in cammino da giorni in cerca di una luce. Le grida allegre dei bambini di fronte allo sfavillio dei dolci e alla serenità ritrovata degli adulti. Non uno stanco rituale di fine anno, da dimenticare al più presto, smaltita la frenesia del falso riposo, ma una festa in cui, anche per chi non è credente, è prezioso il regalo reciproco di pensieri fraterni, nel ricordo delle proprie radici, di ciò che ci ha formato come persone e ha costruito la nostra storia.
Non dimentichiamo ciò che ci è caro, le nostre conquiste. Abbiamo imparato che si può discutere di tutto, senza paura; che il confronto e il dialogo sono le uniche strade percorribili; che la libertà è il frutto faticoso e difficile, e perciò irrinunciabile, della storia; che infine nessuna rivelazione rende accettabile l’arroganza della verità. Per questo non possiamo non dirci cristiani. È il silenzio sulla propria identità che crea smarrimento, la negazione di sé che diffonde il dubbio e impedisce di ritrovare la fiducia in un futuro comune. Il confronto con altre culture, o religioni, e differenti mentalità, non legittima la censura delle nostre memorie, la rinuncia alle proprie radici. L’esortazione al dialogo e al confronto che rivolgiamo agli altri esige che riprendiamo la parola per definire il nostro essere uomini. E i valori per i quali non siamo disposti a tacere.

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