(Introduzione a Daniela Barone). La pena capitale interroga la morale di ogni società, ponendo domande cruciali sulla sacralità della vita e sul valore della riabilitazione. Ma cosa succede quando il "braccio della morte" si manifesta anche fuori dalle sbarre, negli affetti tossici e nel controllo psicologico? Questa è la storia intensa dell'epistolario tra Daniela Barone e Richie Rossi, un carcerato americano in attesa della sentenza capitale, che intreccia la riflessione sulla pena di morte con una personale battaglia per la libertà. Un racconto toccante sulla dignità, la speranza e la redenzione. Segue: a.p. COMMENTO.
1. Rifiuto etico e sacralità della vita
(Daniela Barone - TESTIMONIANZA) ▪️ Non so se fu il film “Dead Man Walking” o il libro “La mia vita nel braccio della morte” di Richie Rossi a farmi riflettere sul tema della pena capitale; tendo a pensare che le vicende del carcerato americano abbiano determinato il mio rifiuto di una pratica che ritengo crudele e ingiusta per qualsiasi essere umano, persino per il peggior criminale al mondo. Credo infatti nella sacralità della vita e nello Stato di diritto che mira alla riabilitazione dei detenuti e non solamente alla punizione, cioè la privazione della libertà.
2. La doppia prigionia: stranieri a casa propria
Nel 2006, dopo la lettura del libro, cominciai a pensare intensamente all’autore, detenuto in una prigione di stato dell’Arizona. Qui l’uomo attendeva la sua sentenza di condanna a morte da ben ventitré anni, senza però perdere mai dignità e speranza.
«Mi rendo conto di essere uno straniero nella mia stessa terra, ma non straniero a me stesso e all’amore per il prossimo», scriveva Richie. Già, straniera mi ero sentita anch’io nella mia casa, privata della libertà da un marito aguzzino che mi aveva allontanato da tutti i miei affetti.
Richie in gioventù aveva ucciso un uomo nel corso di una rapina e ogni giorno attendeva la sentenza capitale. Intanto dipingeva, scriveva e intratteneva la corrispondenza con tante persone. Io fui una di loro.
3. L'esperimento didattico e la forza della connessione
Un giorno decisi di raccontare ai miei alunni di seconda liceo la sua storia. Li invitai a scrivergli per rivolgergli delle domande sulle sue condizioni di vita; sarebbe stato anche un modo nuovo e interessante per migliorare le loro competenze linguistiche. La sua risposta non si fece attendere: nella lettera il detenuto rispondeva senza alcun ritegno a tutte le domande dei ragazzi, complimentandosi per la loro bravura in inglese.
A Richie raccontai senza vergogna dell’amore tossico che a lungo aveva minato la mia vita. A lui avevo parlato con gioia dei miei alunni, scalmanati ma tanto generosi d’animo e narrato cose dell’Italia, paese che continuava ad amare.
Sfortunatamente suo padre aveva smesso ben presto di rivolgersi a lui in italiano per cui Richie, cresciuto negli States, conosceva solo qualche parolina della lingua madre. In una sua lettera ricevetti due origami creati da lui con una carta azzurrina: testimoniavano il suo animo mite, la sua redenzione e l’amore per chi, da fuori, non mancava di scrivergli lettere affettuose.
4. La scelta finale e la vittoria dell'affetto
Con il passare del tempo la salute di Richie andava deteriorandosi: soffriva per un ascesso ai denti che non voleva farsi curare, oltre che di ipertensione arteriosa. Il pensiero della sua esecuzione deve averlo ossessionato per anni e anni in un’attesa spasmodica ma negli ultimi tempi si sentiva in pace con sé stesso. Continuava a scrivere libelli contro la pena di morte e ad intrattenere rap-porti amicali con centinaia di persone compassionevoli in tutto il mondo.
Per un periodo non ricevetti più le sue lettere. Era forse stanco, malato, o semplicemente faticava a procurarsi i francobolli? La risposta la ebbi da Jack Cohen, un suo amico intimo che mi informò della sua dipartita: un agente di custodia l’aveva trovato morto una mattina. Richie probabilmente aveva scelto di non curarsi per non soccombere alla sua esecuzione.
In fondo alla lettera Jack mi aveva raccontato di aver trovato sui muri della sua cella i bigliettini dei miei alunni. Ne fui profondamente colpita: i miei ragazzi erano stati per Richie una sorta di àncora di salvezza, com’era accaduto a me dopo la mia separazione. La loro esuberanza, il loro affetto incondizionato verso i sofferenti avevano vinto su tutto diventando un solenne e commovente inno alla vita.
📖 La vita contro la pena capitale: il faro della Costituzione
(a.p. – COMMENTO) ▪️ La storia di Richie Rossi e l'esperienza dell'autrice si fondono in un inno alla vita che trascende ogni condanna. Questo racconto ci ricorda il valore inestimabile e faticosamente conquistato della nostra Costituzione repubblicana. Se il sistema penale americano, dove il detenuto ha trovato la sua redenzione, non ha saputo salvaguardare la vita, la nostra Carta offre un faro luminoso.
L'articolo 27 della Costituzione afferma chiaramente che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.» Questo è il principio che ha portato all'abolizione definitiva della pena di morte in Italia: l'affermazione che lo Stato, anche di fronte al peggiore dei crimini, non può rinunciare alla dignità umana e non può negare la possibilità di redenzione.
In un'epoca in cui si discute di riforme che mirano a indebolire le garanzie costituzionali e l'indipendenza della magistratura, storie come questa sottolineano quanto sia cruciale difendere i principi fondamentali.
Difendere la dignità del detenuto, la possibilità di riabilitazione e l'umanità della pena non è solo un atto etico, ma la difesa stessa dello Stato di diritto contro ogni tentazione autoritaria o punitiva. Il coraggio di Daniela e l'amore degli studenti hanno vinto la morte: una lezione potente che le istituzioni non devono mai dimenticare.
Foto Daniela Barone: L'ultima foto ritrae la lettera di R. Rossi all'autrice, citata nel testo.




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