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⚖️ La capacità di "decidere bene": il grande assente nella riforma della magistratura

disegno allegorico raffigurante un giudice bendato con una bilancia in mano, sotto un albero con foglie adornate di stelle., a raffigurare la precarietà della giustizia, minacciata dalla riforma.
(a.p.) ▪️ C’è una domanda che ogni cittadino dovrebbe porsi quando entra in un’aula di tribunale, per una causa di lavoro, un divorzio o un processo penale: il giudice che ho davanti è messo nelle condizioni di decidere bene? Ha la competenza, la serenità e gli strumenti per emettere una sentenza giusta?
Purtroppo, la narrazione aggressiva che accompagna la riforma sulla magistratura elude questa domanda. 
Mentre la politica urla slogan, la realtà tecnica è desolante: in questa riforma non c'è una sola riga che incida sulla velocità dei processi, sull'aumento delle risorse, sull'assunzione di personale o sull'ammodernamento degli strumenti. Il "decidere bene", inteso come atto di alta professionalità tecnica, è il grande assente.

🗳️ Il falso bersaglio: colpire l'istituzione, non i disservizi

Il cittadino chiede risposte rapide e sentenze scritte con competenza. La riforma risponde con altro: un attacco all'architettura istituzionale della magistratura.
L'aggressività dei toni utilizzati dai sostenitori — incomprensibile in una materia tecnica e delicata come il diritto — serve a coprire un vuoto di soluzioni pratiche. Non si interviene sulla macchina della giustizia (cancellerie, digitalizzazione, organici), ma si interviene sul "controllore".
Le misure proposte — la duplicazione dei Csm, il sorteggio, la corte disciplinare esterna — sono orientate oggettivamente a un unico risultato: ridimensionare la qualità e l'autorevolezza della giurisdizione, rendendola permeabile ai desiderata della politica.
E sia chiaro: questo è un pericolo mortale indipendentemente dal colore del governo in carica. Un giudice debole serve a qualsiasi potere, di destra o di sinistra; un giudice forte e competente serve solo la Legge e il cittadino.

📉 Smantellare la qualità: sorteggio, doppio Csm e disciplinare

Analizziamo come queste misure incidono negativamente sulla capacità del giudice di fare il suo mestiere con professionalità:

1. Il sorteggio (la fine del merito): Introdurre il sorteggio per la nomina dei membri del Csm è l'antitesi della qualità. Affidare al caso la selezione di chi deve governare le carriere dei magistrati significa abdicare alla valutazione del merito e della competenza. Come possiamo pretendere giudici eccellenti se chi li valuta è scelto dalla sorte e non per capacità rappresentativa e professionale?

2. La duplicità dei Csm (burocrazia contro competenza): Dividere il governo autonomo in due tronconi non serve a nulla se non a indebolire l'istituzione. Un organo diviso è strutturalmente più fragile, meno autorevole e più costoso. Agli occhi del cittadino, questo si traduce in una "doppia burocrazia" che non produce sentenze migliori, ma crea compartimenti stagni che ostacolano la visione unitaria della giurisdizione, fondamentale per la cultura della prova e la qualità della decisione.

3. L'alta Corte disciplinare (la minaccia silente): Delegare il controllo disciplinare a un organo esterno o "politico" introduce un fattore di condizionamento psicologico. Il giudice, per decidere bene, deve essere libero dalla paura di ritorsioni per il contenuto dei suoi provvedimenti. Se il magistrato teme che una sentenza sgradita al potere possa costargli una sanzione disciplinare decisa da organi non tecnici, la sua serenità svanisce. E senza serenità, non c'è qualità.

🗳️ La scommessa perduta: un giudice impiegato, non un garante

Il vero rischio di questa riforma non è solo l'asservimento politico, ma la mediocrizzazione del giudice.
Se togliamo autonomia, se affidiamo le carriere al caso (sorteggio) e la disciplina a organi esterni, trasformiamo il magistrato da professionista di alto livello, custode dei diritti, a burocrate.
Un giudice che ha paura, o che deve la sua carriera a logiche non meritocratiche, sarà un giudice che deciderà "piano" e "male". Cercherà la soluzione più comoda per non dispiacere a nessuno, non quella giuridicamente più corretta.
Per il cittadino comune, questo è il danno peggiore. Quando ci rivolgiamo alla giustizia, non ci interessa la geometria istituzionale, ma vogliamo che chi decide la nostra vita sia il migliore possibile, il più preparato e il più libero. Questa riforma va nella direzione opposta.

🛡️ Vigilare sulla professionalità è un dovere civico

Le aule di giustizia e la nostra Costituzione (art. 101) sono state costruite sul rifiuto dei giudici-funzionari tipici dei regimi autoritari. I costituenti sapevano che per garantire i diritti di tutti — forti e deboli — serviva una magistratura di altissima qualità tecnica e morale, blindata da ogni ingerenza.
Smantellare queste garanzie in nome di una riforma che non accorcia i processi di un solo giorno è un errore storico.
Democrazia sostanziale significa garantire che le regole siano applicate con scienza e coscienza, non con timore e riverenza. Piero Calamandrei definiva la magistratura "la sentinella della libertà": ma una sentinella disarmata, confusa da doppie linee di comando o scelta a sorte, non può proteggere nessuno.
Difendere l'assetto attuale non è corporativismo, è la difesa del diritto di ogni cittadino ad avere un giudice capace di decidere bene. Perché una giustizia qualitativamente scadente è la più grande ingiustizia di tutte.

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