La peste, di Nicolas Poussin |
Anche nella antica Atene scoppiò una terribile pandemia. La risposta? Non i ciarlatani, ma la fiducia nella scienza. Un insegnamento anche per noi
di
Paolo Brondi
Un filo rosso lega secoli, generazioni e dolori, con il ripetersi
di simili accadimenti. Nel 430 a.C. la
peste colpì Atene e l’epidemia si diffuse e tornò due volte, nel 429 e
nell’inverno del 427/426.
Il popolo, così duramente colpito, si reca nel tempio di Apollo,
si rivolge alla divinità per ottenere la fine della malattia, chiedendogli
perdono della hybris consumata nei
suoi riguardi e rinuncia alla sua vendetta.
Ma i governanti e uomini di cultura, come Sofocle, vanno
oltre la tradizione religiosa e confidano nei medici. Questi, da anni lottano
contro le incerte pratiche magico-sacerdotali, e, reagendo allo scacco, dovuto all’improvviso
diffondersi della pandemia, provvedono ad un sostanziale approfondimento del
loro sapere, dando origine alle maggiori opere metodologiche della medicina
greca.
I principi che animano la loro impostazione metodologica
sono: l’errore fa inevitabilmente parte della tattica scientifica; la scienza è
tale perché riesce a far tesoro anche dei suoi errori in vista del progresso; la
scienza non ha ancora raggiunto tutte le sue verità ma le raggiungerà nel tempo
se continua sulla via del metodo corretto; infine la ragione non può
controllare compiutamente i fenomeni, ma fra esperienza e ragione il metodo può
istituire un rapporto le cui maglie si saldano più strettamente.
Consapevolezza, prudenza e metodo scientifico furono,
dunque, la risposta alla pandemia di Atene e, se i politici e gli uomini di
cultura volevano sopravvivere al crollo del loro mondo e salvare il popolo, non
potevano che confidare e fidarsi dell’opera dei medici e della scienza.
Non c’è dubbio, dunque, che quei fatti antichi non sono solo
un ricordo, ma ritornano, secolo dopo secolo, e con indubbia consonanza con la
nostra pandemia e le scelte governative di oggi.
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