La cena in Emmaus, di Caravaggio |
di Bianca Mannu
(Con
un’introduzione dell’autrice)
(bm) Un'atea impenitente
come me si è sempre lasciata invadere dalla grandezza umana e
universalistica di Gesù di Nazareth. Pagine
letterarie sta versando molto balsamo sulle ferite del mondo in questa
Pasqua, di cruciale sofferenza per i viventi più provati dalla
normalità precedente la pandemia.
Questo momento cosi
opaco e terribile dovrebbe rappresentare la discesa agli
Inferi dell'esistenza umana come monito per una sua resurrezione, meno
escatologica, meno verbale, ma più concreta e universale. Cristo è uscito
sì dal sepolcro, ma con i segni delle sofferenze e degli oltraggi subiti
nel corpo e nell'animo d'uomo.
Attraverso la
"modestia immodesta" di un anonimo passante, mostra una tensione
visionaria. Il suo passaggio in vita ha stimolato nei discepoli la memoria
dalla sua parola e dalla sua (notoriamente) cauta e incauta prassi.
Sul tacito viandante -
curvo custode
dell’oltraggio osceno
del chiodo e del flagello -
spandeva numinosamente
senza raggio
incognito nitore
la modestia immodesta
dell’immolazione.
Ancora andava con lui –
gli occhi sul cammino –
andava nuda d’ogni vezzo d’ombra
d’assenso e di diniego
Con piedi d’uomo andava –
una con lui -
incontro al suo destino.
Alieno da ogni fumo di clamore -
s’era fatto il suo passo
disegno concettuale:
quel notturno «eamus»
anonimo compagno
alla volta di Emmaus.
Si traeva dai vivi
col corpo trafugato
d’ogni gloria opaco
lasciando vuoto al mondo
lo spazio dell’assenza.
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