Alla luce tarda di un pomeriggio al mare: dialoghi
tra silenzi e leggerezze
di Paolo
Brondi
In
quel pomeriggio appena spiovuto, la luce azzurro-grigiastra del cielo
s’insinuava tra le carte e i libri che Giulio riponeva con meticolosità negli
scomparti della sua libreria. Stava per partire senza meta. L’ultimo caso lo
aveva indotto a fare un bilancio della sua vita e l’esito era drammatico.
Il silenzio di Forte dei Marmi che, nei mesi che vanno da settembre a maggio, favoriva la sua concentrazione e gli consentiva, dopo il gran rumore della stagione estiva, di rinnovare la creatività non gli bastava più.
Il silenzio di Forte dei Marmi che, nei mesi che vanno da settembre a maggio, favoriva la sua concentrazione e gli consentiva, dopo il gran rumore della stagione estiva, di rinnovare la creatività non gli bastava più.
Sentiva
che la sua solitudine, da stato prezioso e aristocratico, si era trasformata in
isolamento, con il rischio di farlo precipitare nella misantropia. Un senso di
pesantezza aveva preso a ingrigire la sua quotidianità: il vortice del tempo,
delle scadenze, dei successi portava nuovi e imprevisti cambiamenti negli
aspetti fisiologici e psicologici della sua persona, con effetti di difficoltà del
cuore e aridità dell’amore.
Ricordava
e faceva proprie le parole di Nietzsche, «il mondo è profondo e profondo il suo
dolore, ma la gioia è più profonda,
più profonda del dolore più profondo. Il
dolore passa, ma ogni gioia vuole profondità». E infine aveva deciso di
partire, alla ricerca della gioia e della profondità, ma ecco che il telefono prese
a squillare con prepotenza e lo trattenne: «Pronto, chi parla?», «Giulio come stai? Sono Gianna. non riconosci la
mia voce? Senti, sono a Lucca e se vuoi potremmo incontrarci stasera».
«Gianna,
certo che riconosco la tua voce, e sono contento di risentirti, ma sto partendo
e non so quando tornerò, ti saluto. Ciao». Nella sua mente balenavano le
immagini di Gianna e velocemente si cancellavano, come se svilito fosse il suo
ricordo, cadendo nel mondo dei problemi e dei limiti che il criminologo stava
ora vivendo. Posò il telefono e afferrata la valigia, già aveva il passo fuori
della porta, quando ecco ancora uno squillo incalzante.
Tornò
indietro e ascoltò: «Caro Giulio, sono Anna, ti telefono dalla Rai. Sai. Stiamo
organizzando un nuovo sceneggiato sul terrorismo degli ultimi decenni e
vorremmo coinvolgerti come consulente di studio. Ho un bellissimo bilocale in
Trastevere. Potrei ospitarti per tutto il periodo di lavoro. Che ne dici?»
Giulio ebbe un tuffo al cuore appena senti il nome “Anna”, ma subito si
ricredette e abbandonò la speranza di colmare lo scacco di Firenze, prestando
invece attenzione alla proposta: «Anna, che dire? Ti sono molto grato per aver
pensato a me e aver segnalato il mio nome ai tuoi collaboratori, ma, vedi, sto
partendo e non so quando tornerò».
«Giulio,
che risposta ermetica! Questo mi rattrista un po’. Non puoi riprogrammare il
tuo viaggio e raggiungermi qui, a Roma, in fondo anche quello che ti propongo e
un viaggio?».
«Anna,
è vero spesso sono ermetico, non per celare segreti, ma per indurre in chi mi
ascolta o mi legge l’emergere di sensi nuovi. Qualcosa che si riferisce alle
stelle, la lezione antica di osservare gli astri, di metterli a confronto, per
non perdere la rotta, per trarre indicazioni per l’agire. Dietro il silenzio,
come vedi, cara Anna, c’è un mondo da scoprire”.
«Giulio,
sei straordinario ed è per questo che ti voglio con me, per il mio lavoro, come
gioia per il mio esistere». E Giulio infine si convinse a vivere con più leggerezza, prendendo tutto questo come un
regalo che la vita ogni tanto fa e accettò la proposta di Anna.
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