Quando saremo fuori da tutto, faremo un respiro profondo. Per ora, è proprio l’atto di respirare che può farci ammalare di Covid-19. Il
respiro tornerà a metterci in contatto con il mondo esterno
(ap) La scienza fatica ad
affermarsi, al contrario delle falsità. Oggi diremmo: delle fake
news. Lo vediamo con il Covid-19 dove catastrofisti e complottisti si
alternano a proporre teorie. Una lotta impari tra evidenze scientifiche e
illazioni arbitrarie. Ne era convinto Mark
Twain quando provava a misurare la differenza di velocità, tra le due cose.
Mentre una bugia percorre mezzo giro del mondo, diceva, nello stesso tempo una
verità non riesce nemmeno a mettersi le scarpe per uscire di casa.
La scienza arranca, e non
solo per le figuracce mediatiche di alcuni, lesti a mettersi in mostra più che
a stare chini sui banchi di laboratorio. Anche perché ci vuole sforzo a capire.
Non fermarsi alle conclusioni dell’esperto di turno, magari autorevole, seguire
invece il pensiero complessivo di tutti coloro che studiano un fenomeno.
Scienza è un percorso globale,
in continua evoluzione e mutevole nel tempo, contrassegnato da sperimentazioni
e verifiche, non un’affermazione secca, perentoria, a chiusura di dibattito. Anche
per questo, è difficile un raffronto, come paragonare il concreto all’astratto,
il facile al difficile. C’è uno svantaggio ai blocchi di partenza.
Il Covid-19 ne offre un
esempio lampante. Ci chiediamo quali possano essere le cause. Per essere
disorientati, non c’è bisogno di credere alla storia degli atleti americani che
hanno portato a Wuhan il virus, né a quella dei ricercatori cinesi che hanno
creati la bomba biologica, si tratta di una guerra
di complotti tra Washington e Pechino. Neppure è necessario condividere visioni
apocalittiche, il virus
come punizione divina per tutte le nostre cattiverie. O infine perdersi
dietro alle ipotesi di “salto di specie” tra i pipistrelli e l’uomo.
Basta guardare all’anatomia,
c’è qualche spazio per strane supposizioni, se non per il catastrofismo. Osserviamo
i polmoni, e constatiamo che il coronavirus li mette k.o. La respirazione è
esposta al contagio. Come
si muore di Covid-19? L’infezione approfitta dell’aria necessaria che
respiriamo, per entrare e distruggerci, aggredendo i polmoni e mettendoli
fuori uso.
Ciò che ci fa vivere, lo
scambio tra ossigeno all’esterno e anidride carbonica all’interno, si trasforma
in strumento di morte, è manipolato dal virus, che lo utilizza per i fini distruttivi.
Respirare ci fa male, per questo dobbiamo proteggerci, filtrare l’aria, cercare
di intercettare, con quel tessuto-non tessuto (allora cos’è?) delle mascherine,
il maligno che è appostato nei pressi.
Un’ossessione non nuova nella
storia, resa plausibile dalla conformazione del nostro fragile organismo. Un
tempo si diceva: dipendiamo dagli astri, dalle maree, da chi sa cosa. Per non
parlare dei fluidi, degli spiriti. Pronti ad investirci e cambiare il destino. Tutto
influisce su di noi, entra attraverso il respiro, sino ai polmoni. Un magma oscuro
è pronto a invaderci. Si tratta di un mistero difficile che ha finito per
interessare tanti, anche troppi. Esoterici, teologi, filosofi variamente
eclettici. Più che scienziati e medici. Una strana mescolanza di approcci e di
conclusioni.
Il povero Galeno, medico greco antico
tra il 100 e il 200 d.C., persuaso che il respiro non servisse solo a
raffreddare l’aria esterna, non convinse granché. Successivamente non fu facile
chiarire una volta per tutte il rapporto tra cuore e polmoni, la pompa interna
e il ricambio dell’aria. Si capisce che i poveri polmoni non fossero visti soltanto
come mezzo per un certo scopo, semplice ed essenziale. Hanno finito per
rappresentare tanto altro: un simbolo, una minaccia, magari una metafora.
Il respiro ci mette a
contatto con il mondo esterno e quindi con tanti pericoli. Certo anche le mani
e il corpo possono sporcarsi, raccogliere infezioni. Ma qui abbiamo l’illusione
di proteggerci più efficacemente. Prevale l’idea della barriera fisica. Non ci
viene raccomandato di lavarci accuratamente, di indossare protezioni? Il
respiro invece è molto più fragile, e tuttavia necessario. Non possiamo farne a
meno, limitarlo, sospenderlo. Ma proprio adoperandolo, si apre una falla irreparabile
in noi. Eccolo, il modo attraverso cui il virus distrugge la nostra vita.
Per fortuna, ricondotti con
un certo sforzo i polmoni alla loro elementare funzione, cancellati dalle teorie
scientifiche i significati impropri, il respiro (ri)conquista un diverso ruolo nell’immaginario
collettivo. Dalla letteratura all’arte, al senso comune. Torniamo ad apprezzare
i sapori del vento in cui «tutto è scritto», ricorda Elias Canetti.
Sull’onda di questa
percezione, avvertiamo gli odori della terra, del cibo, di altro, che
arricchiscono l’aria. Li cerchiamo ed apprezziamo: sono aromi che raccontano storie,
ricordano momenti di vita, annunciano esperienze. Cogliamo l’alito che viene da
tempi lontani e da luoghi molto amati. Ci lasciamo coinvolgere dal soffio della
felicità.
E’
il respiro, strumento di ascolto, che ci fa assaporare la vita, permettendoci
di coglierne i segreti. «L’essere umano è solo respiro», osserva Sofocle, il
resto «è ombra». Respiriamo la bellezza, che ci circonda. Siamo spinti da una
tendenza antropomorfica a trasferire alla materia le nostre facoltà percettive.
Come se anch’essa ne fosse dotata. Parliamo del respiro di un’isola, di una
città, di un paesaggio, per indicarne le qualità più preziose.
Si respirano tante cose, non
solo l’aria, ma poi le emozioni, le suggestioni, i misteri di persone e luoghi.
Non c’è da stupirsi di questo linguaggio allusivo, se persino nell’arte esso
trova qualche esempio illustre. Alcuni studiosi si dicono convinti di aver scoperto,
tra tante sfumature, un segreto nella Nascita di Venere e nella Primavera di Sandro Botticelli, è una
traccia dello stesso genere: la sagoma di polmoni umani.
L’anatomia non trova
giustificazione in questi dipinti. Più probabili dei motivi allegorici. Un modo
nascosto di suggerire significati. Il disegno dei polmoni sarebbe un omaggio
alla musa del pittore, Simonetta Cattaneo Vespucci, morta giovanissima di
tubercolosi, e dunque ricordo della donna che ne ispirò l’opera. Ma rappresenterebbe
anche altro, in sintonia con la filosofia classica diffusa alla corte dei
Medici. Il respiro infatti è simbolo antico del soffio vitale, origine
dell’uomo e principio del suo rinnovamento interiore. Addirittura, segno dell’avvento
del divino nell’esperienza terrena.
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