Abbiamo sempre dovuto affrontare pesanti problemi, rimasti insoluti purtroppo, ora siamo alle prese con il Covid-19. Attenzione al linguaggio: “guerra, battaglia, nemici” è uno stravolgimento della realtà; “andrà tutto bene”, retorico e
consolatorio
di
Bianca Mannu
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) E’ davvero così?
Non si parla d’altro che di una malattia? Grave senza dubbio, ma ogni epoca ha
avuto le sue difficoltà, ha dovuto lottare contro qualcosa, e nel frattempo
ogni stagione ha avuto i suoi problemi, che spesso, nel passaggio da una
generazione all’altra, sono rimasti irrisolti.
Il nuovo è l’eterna
ripetizione del già visto? Altri problemi, però non più gravi di quelli del
passato, perché a ciascuno il suo. Si rischia, mettendo il nuovo al posto del
vecchio, occupandoci di ciò che al momento ci coinvolge di più di dimenticare
le cose di ieri, ovvero di mistificare la realtà? Come accettare una
conclusione amara: tutto cambia, tutto rimane com’era.
Qualunque confronto,
specie tra passato e presente, tra crisi di un tipo e di un altro, nasconde
delle insidie. Il pericolo di semplificazioni. Non può esserci, per situazioni
diverse, uno stesso metro di giudizio. Il nuovo non ci proietta in una
dimensione alienante se siamo vigili. Se non lo vogliamo.
Certo è che la storia
non si ripete uguale, e non è (crocianamente) priva di senso: le difficoltà
della vita civile e sociale hanno attraversato ogni epoca, ma si sono
presentate in forme diverse. E allora differenti devono essere anche le
risposte.
Possiamo agire oggi,
senza dimenticare nessuna delle cose rimaste incompiute, ma cercando di
apprezzare gli spunti che il presente ci suggerisce. In questo caso, la lezione
di tenacia, solidarietà, impegno civile, che stiamo manifestando nel contrasto
al virus. Ce lo riconosciamo serenamente. Perché rinunciarci?
Che cosa c’è oggi in gioco di così imprescindibile e
lampante? La vita. Solo la vita. Anche ieri. Si, anche ieri, ma in un modo che
è parso staccato, come se avessimo creduto che, qualunque fosse la condizione
personale, si potesse giocare a rimpiattino col caso, col destino finale,
magari dando forfait al dunque. Ma non è affatto come io la sto raccontando,
perché c’era chi giorno per giorno sentiva sul collo il fiato gelido dell’impatto
possibile d’un evento in caduta dal cielo turbato della propria condizione di
lavoro, di salute, di relazioni e protezioni sociali o della loro
inaffidabilità e della condizione di impotenza che gliene sarebbe derivata.
Ma allora, in qualche modo, anche dopo aver messo
quell’eventualità nel conto del suo dare, colui poteva fare a non pensarci,
oppure considerarla in solitudine, oscillando tra la convinzione che quel pensiero
fosse un fatto privato pressoché incomunicabile, da mettere vicino alle proprie
disabilità (magari alle colpe, incapacità, fallimenti, debolezze e
superficialità personali) come una sorta di giusta punizione a sorpresa, ma spinta
in là in una eventualità remota dal pensiero basculante. Dopo tutto l’umano in
esame poteva sfangarla per tempi lunghi e persino sfiorare la fiducia che in
fondo il suo mondo circostante, se non migliorato per sorte, potesse rimanere
tale e quale come se contemplasse il suo ritorno per interposta persona o per
incolmabilità del suo vuoto postumo.
Che fa il covid19? D’improvviso acchiappa l’inferno e quasi
senza tregua te lo porta nell’animo e dentro casa, o nel tugurio o nel buio dell’ipogeo
metropolitano in cui ti rifugi, ti sbarra le vie di fuga, ti libera dalle
uscite scoccianti per lavoro, da quelle per la ricerca se il lavoro non l’hai,
ti chiude il bar, ti scippa i bicchierini con gli amici, ti leva la partita e i
processi successivi, ti costringe a spupazzare i piccoli che sono più della
madre che tuoi, ti chiude i rubinetti dei soldi, ti costringe a mendicare il
denaro dai parenti o il cibo per il tuo unico pasto quotidiano, ti toglie i
parenti in età – addio alle calende epifaniche! - e li porta morire come cani, a
dieci, a cento, a mille! E tu stesso, in attesa del tuo turno, non sai dove
ficcarti. E la vita così, da cretini - ma quanto durerà ?- manco vale più
niente. Il mondo si disfa come cera calda.
Era appena ieri che si giocava a ping pong sulle piazze e in
rete facendo il verso ai politici, ieri che si credeva che i mali arrivassero
da fuori con gli stracci e la fame dei più poveri del mondo, che si era
convinti di avere l’esclusiva della vera religione, di essere una bella
famiglia del Nord, e ricchi anche, i Padani, quasi come i tedeschi del Sud. E
dai, insegniamo ai beoti del Sud come si fabbrica l’orgoglio! Bum bum bum!
Cento contagi, mille contagi, un paesino intero? Tre paesi, una provincia?
Chiudi, chiudi, chiudiii! … Eh, eh eh, starai mica esagerando? Ops! Mamma mia!
Ma, sì, chiudi tutto, ma proprio tutto!
In tale clima si torna a fare un uso deprecabile di abusati
linguaggi. Le parole, non sono solo emissioni volatili, sono talvolta strumenti
di presa intelligibile oppure di stravolgimenti e di veri e propri mancamenti
oggettuali, perché sono atteggiamenti e comportamenti sociali che viaggiano e
si riproducono a velocità telematiche con beneficio o maleficio conoscitivo e
pratico. Sconquassi.
Intanto io metterei sul banco degli imputati la nozione di “guerra
contro il virus” nella connotazione specifica del clima di contagio, di difesa
sanitaria, di attività terapeutiche ed esiti, ma anche la nozione di guerra e
basta. “Guerra” presuppone l’aggressione intenzionale, coperta o dichiarata,
con armi proprie e improprie, di gruppi umani fra loro, con lo scopo di
giocarsi il primato assicurarsi, in virtù della vittoria supremazia e controllo
sui vinti.
L’uso di questa parola è di per se sintomo di spirito
aggressivo; è depistante perché è frettolosa e poco analitica, induce a credere
indebitamente che lo spirito aggressivo sia l’elemento decisivo e facilitante delle
soluzioni, mentre è noto che le soluzioni si danno indipendentemente
dall’immediatezza delle situazioni e solo quando la capacità analitica,
concettuale e operativa raggiunge il cuore specifico del problema.
Le vie urgenti e indirette disponibili nelle situazioni
attualmente incombenti si debbono servire di protocolli sperimentali pregressi,
che è ciò che si sta facendo con gli strumenti disponibili, nella scontata
incertezza degli esiti, ma puntando sui comportamenti più prossimi alla minima
possibilità di contagio. Intanto, però, comincia a emergere lo stato dell’arte:
il dimagrimento idiota perpetrato a suo tempo ai danni della sanità pubblica. Le
scelte immediatamente lucrose.
- Aiuto, aiuto, governo incapace! Mancano i presidi sanitari
essenziali! I letti possiamo inventarli; anche gli ospedali ! Ma occorre tempo.
Bisogna fare più in fretta!- gridano in diversi caduti dal cielo dell’innocenza
volpina. Non possiamo inventarci i medici sui due piedi, né gli infermieri con
uno schiocco delle dita – brontolo io. - Facciamo come nel ’18: in prima linea
vanno quelli che abbiamo, come li abbiamo.- suggerisce un innamorato
dell’atmosfera bellica.
S’interrogano come i santi luminari. I luminari che nessuno
sapeva più dove stessero di casa; santi d’una Ricerca ridotta all’elemosina o a
farsi gli affari suoi, perché noi italiani eravamo così belli sani e ignoranti
da poterne fare a meno! E intanto che
tutta questa frenesia sale e scende sull’otto volante, la gente comincia a
disperare. - Inventiamoci anche un Welfare locale, poiché abbiamo mandato
scientemente a monte quello nazionale, - dice più d’una voce sindacale. Ed ecco
che prende piede anche un'altra tattica, quella linguistico-espressiva delle
genti che non hanno a propria disposizione che le pratiche divinatorie e gli
scongiuri, anche perché nel frattempo la popolazione s’è creduta ricca e s’è
fatta venire l’uzzolo della moda, del Made in Italy, del “beautiful mind” che
non è l’opera del matematico ed economista John Forbes Nash.
Come niente riaffiora il baluardo dei popoli alle guerre: la
pelle. Nelle guerre la pelle dei soliti predestinati o se la lavora “il nemico”
o il “fuoco amico” con aggiunta d’infamia. Dunque meno male che in questa
“guerra” ci vanno di mezzo subito i segnati (qualcuno questo pensa in segreto!)
e a combatterla, semiarmati, vanno gli “eroi”, quelli che più semplicemente
vorrebbero essere dei seri e preparati professionisti, protetti come il nerbo
più prezioso della sanità, uniti saldamente con le altre imprescindibili figure
di una medicina scientificamente fondata e incardinata nel territorio,
riconosciuta e rispettata dai cittadini. Adesso son bravi a lavorare come bruti
in mezzo alla carneficina.
Mezzi di interessata diffusione del coro apotropaico sono la
rete dei social, le tv, le radio, i pochi giornali letti e commentati dagli
specialisti. I messaggi più diffusi sembrano inventati lì sui due piedi da bambini
con la nostalgia della scuola. Invece è noto che tutto quello sfarfallio
colorato e canterino è il frutto dell’infernale macchina pubblicitaria, la
quale t’inocula tutto ciò che torna buono a procurare la goduria onirica delle
menti con effetti corali amplificanti e forse ricadute temporaneamente efficaci
nel tranquillare le ansie di massa.
Retorico, rincuorante, consolatorio, del tipo “andrà tutto
bene”, ogni messaggio compare corredato dei colori e delle forme più conformi
all’arcobaleno della felicità. Come non bastasse, avendo dimenticato che le
guerre patrie e coloniali (a patrio profitto) non erano molto amate dalle genti
italiche, abbiamo rispolverato il patriottismo applicandolo all’obbligata
solerzia degli eterni volontari, all’encomiabile disponibilità del personale
sanitario e all’inventiva soccorritrice del momento.
Chiaramente le espressioni sopra menzionate, pur auspicando la
salvezza totale del gruppo sociale (facendo stridore, peraltro, con le notizie
ferali altrettanto gridate, commentate, ripetute e coniugate con rari segnali
di bonacce), sono in sé limitative nel concetto profondo e ampio (ma non
globale) di pericolo e consentono come “non detto” una quota indefinita di
perdite sopportabili, tali da non includere, però, nel senso emotivo e non
logico, la “rovina fisica e morale” del gruppo . La possibilità di esito letale
esteso attraversa tuttavia lo stesso profondo foro emozionale della popolazione
interessata , come spettro di deprecabile e inaccettabile sterminio, non del
tutto ricusabile, proprio perché esso viene (cum judicio e periodicità!) squadernato per gli indisciplinati e i
riottosi delle regole anticontagio, le sole con qualche vera possibilità di
salvezza (parziale).
Tali regole, introdotte, consolidate ed estese oltre i margini
iniziali necessitati, possono diventare secondo alcuni il veicolo di un
autoritarismo politico pesante e meno perspicuo, perché mascherato da
sollecitudine terapeutica e protezione sociale. Ogni schieramento lo paventa
dall’altro. Ma se si indaga oltre questa sottile pellicola del detto,
desiderato, scongiurato, temuto, si avverte nel mondo vivente un rumore di
fondo molto inquietante.
Cioè quel contradditorio sobbollimento, indicatore di conflitti
sociali stratificati e complessi di ampiezza mondiale, che il virus non ha per
sua virtù creato, ma solo fatto emergere, quasi cartina di tornasole dell’insostenibilità
vitale della logica di potere fin qui utilizzata su scala mondiale dalle élites
economico-finanziarie e politiche che decidono “i giochi” (nel senso di J. F. Nash),
sulla base della ragione vincente o mediata tra gli attori logici, scremati nel
gioco dei meccanismi economico-finanziari e socio-ideologici di cui mantengono
le chiavi. Queste sono in ultima istanza risorse naturali e umane destituite di
vero potere decisionale e contrattuale. Questo è il vero busillis sotteso al
Covid-19. Questo il tema del cesarismo: De
bello civili.
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