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Il segreto di Giolì

“Quello lo denuncio”: la figlia rimasta incinta e la reazione del padre.  Un amore di altri tempi

di Paolo Brondi

Giolì, in quell’autunno dei suoi 18 anni pieni di gioia per l’unione con il suo Luca, aveva seguito, con sentimento filiale, i propri genitori nel trasferimento a Milano. Tutto era avvenuto con straordinaria rapidità: con un telegramma il padre era stato chiamato all’alto incarico; con tempestività erano stati fatti i bagagli e il cambiamento di casa.
Un turbinio di eventi, di novità, di responsabile collaborazione con la propria madre non le avevano consentito di avvisare Luca, di salutarlo. E quando, una volta sistemata casa in Milano, riaprì in sé il desiderio di Luca, un allarme imprevisto, seppure dolcissimo, la trattenne: si accorse di essere incinta! Da quel momento visse un dramma nascosto, lacerante, mancando in quegli anni la disinvoltura conquistata da tante donne negli anni successivi, favorita dalla progressiva laicità dei costumi.
Un tormento un poco più attenuato da quando, confessata la situazione alla propria madre, lei si dimostrò disposta a comprendere la figlia e perfino ad aiutarla a risolvere il “problema” anche attraverso un intervento medico. Ma per Giolì quello che sentiva in sé crescere e che già accarezzava con immaginazione e fantasia, non era un problema. Non era quello il dramma! Era piuttosto nella cultura del tempo che si annidava il rimprovero, o addirittura l’accusa di immoralità,  per  quel che accadeva fuori dagli schemi etico- religiosi. Giolì sapeva che il proprio padre di quella cultura era il rappresentante e il difensore!
La madre esitò a lungo prima di affrontare l’argomento con il marito, conoscendone la rigidità e la decisionalità; ma quando si accorse che la snella figura della figlia si ingentiliva non riuscì più a nascondere la verità. Il dott. Martini, padre di Giolì, funzionario in carriera della Prefettura, vicino alla promozione a viceprefetto, accusò il colpo con molta freddezza. Chiese alla figlia il nome di chi l’aveva messa incinta, aggiungendo che, essendo lei minorenne, “quello” sarebbe stato anche denunciato.
Giolì, delusa e spaventata, non rivelò il nome: il suo Luca doveva essere protetto; solo lei avrebbe affrontato tutte le conseguenze del loro sfortunato amore. A quel diniego della figlia, il padre non esitò oltre: non avrebbe offerto alla gente e ai suoi superiori uno scandalo, così la spedì in Svizzera “per motivi di studio”. L’accompagnò in macchina a Lugano, affidandola all’attenzione e cura di parenti della sua famiglia d’origine. 
Giolì sopportò serenamente l’esilio e i mesi si dipanarono lenti, ma in una crescente certezza della rivelazione più bella del suo amore per Luca. E nel mese di maggio nacque Giulia, una splendida bambina, ammirata da tutti per l’incanto della luce degli occhi, di un azzurro intenso, e per i suoi vivi riccioli biondi.
I suoi genitori, andarono di frequente a visitarla, e ogni volta la tenerezza e la grazia della nipotina sembrava far maturare lo scioglimento della rigidità del padre, ma il ritorno di Giolì a Milano, in seno alla sua famiglia veniva sempre rimandato. Né il padre le portò mai quelle poesie che un certo Luca spediva, con cadenza mensile, alla Prefettura di Milano e che, sistematicamente, finivano nel cestino.

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