Nessun’altra epidemia è stata invasiva e globale come il Covid-19. Questa fase gravissima è comunque di passaggio verso il futuro. Dobbiamo ripartire da scuola e
sanità, lavoro, infrastrutture, giustizia, istituzioni. Con la lezione civile del presente. Il cambiamento
epocale non riguarderà i problemi da affrontare ma il modo di risolverli
(ap*) Non si parla che di
coronavirus. E come fare diversamente?, verrebbe da domandarsi. C’è
apprensione, sgomento, paura del futuro. Ci scambiamo telefonate e messaggi in
cui ci chiediamo, a volte trattenendo il fiato: “come stai?, tutto bene?”
Temiamo una risposta negativa, ma, poi, cerchiamo anche di darci così un po’ di
conforto. Con stati d’animo alterni, apriamo il giornale, guardiamo la tv,
vediamo dipanarsi giornate, che non sono più come prima.
Un susseguirsi di notizie, in
Italia, Europa, nel mondo. Per lo più tragiche: i morti, i contagiati. Leggiamo che non c’è più
posto nelle camere mortuarie, molti vengono caricati sui camion militari in
cerca di un luogo dove essere cremati e trovare sepoltura. Senza parenti,
perché non si può fare il funerale. Se ne vanno ad uno ad uno i ragazzini che
erano su quell’altra trincea, nel ‘18. Ancora lenta la curva che indica la
diminuzione dei contagi. Solo piccole incrinature nella lotta al virus: studi,
sperimentazioni, prove sul campo, rese affannose dal tempo che manca.
Tabelle, diagrammi, e tante
dissertazioni. Più o meno scientifiche, talvolta digressioni inutili,
ripetizioni. L’insidia onnipresente della faciloneria in tante dichiarazioni.
L’insopportabile uso delle polemiche per tornaconto politico. Come vanno
realmente le cose e quando ne usciremo? Come sarà l’esistenza domani? Non
riescono a dircelo né i decreti del governo né le statistiche degli scienziati.
Nessuno lo sa, l’incertezza spaventa e allarma ancora di più, rendendo il
futuro incerto.
Il sovvertimento delle abitudini ha
già introdotto un cambiamento non solo negli stili di vita, ma nella mente. I
riti di cui era fatta la giornata, non importa se piacevoli o stressanti, erano
a modo loro tranquillizzanti. Creavano un routine, un ordine, uno spartito. Ci
troviamo oggi spiazzati dalla mancanza di riferimenti. Dobbiamo costruircene di
nuovi, in fretta. Ne siamo capaci?
Quello che abbiamo sotto gli occhi è
che, in un tempo così breve, si è consumato un dramma: sono già
migliaia i morti per il virus, la maggior parte tra i più deboli, anziani o gravemente
malati. Se ne sta andando una generazione. 70 sono i medici, alcuni richiamati
in servizio dalla pensione, che hanno già lasciato la pelle mentre provavano a
salvare quella degli altri. Non è l’unico dato che tocchiamo con mano. Molte
famiglie già non ce la fanno ad andare avanti. Sono milioni le domande di
sussidio all’Inps. Nelle strade di alcune città sono apparse ceste ricolme di
alimenti. “Chi ha bisogno prenda, chi può lasci”. Un soccorso spontaneo, alla
buona.
Non c’è attività che non debba fare
i conti con lui, il virus. Impossibile prescinderne. Che ne è del nostro
lavoro, della scuola per i figli, oppure del divertimento o dello sport? Al
tempo del coronavirus, nulla è più come prima, tutto è rimandato, perso,
annullato, almeno modificato in peggio. Senza termini o scadenze prevedibili
che indichino la via di uscita.
Proviamo a divagare quando ci sembra
di soffocare, è naturale, ma si ritorna sempre lì. Molti musei o teatri, tanto
per dire, sono accessibili gratuitamente da parte di chiunque, e così si
possono vedere capolavori, ascoltare musiche, assistere a spettacoli senza
spendere un cent. Una bella notizia in sé. Senonché, accade, bisogna dirlo?,
perché questi luoghi sono chiusi al pubblico per il virus, e allora, al posto
delle visite, sono stati creati tour virtuali. E così tante altre cose. Che il
virus rende difficili o esclude. Come far prendere una boccata d’aria ai
bambini chiusi in casa? Come curare malattie croniche o ottenere dei ricoveri,
se gli ospedali sono impegnati con il virus? E se a prendere il Covid-19 sono
donne in gravidanza?
Ci siamo dimenticati d’un botto quello
che accadeva ieri? Ci siamo fatti trascinare altrove dalla musica assordante
suonata sui balconi, dal silenzio fascinoso e stordente delle città vuote? Se
fosse accaduto, saremmo entrati in una bolla d’aria. Lontani dalla realtà, non
immersi in essa sino al collo come sta avvenendo. Impossibile trascurare tutto
quello che prima animava le nostre discussioni. Sono problemi che pesano sempre
sull’esistenza.
Alla svelta. L’Ilva: il dramma della
salute in un’intera città, è sempre in stallo, come quello del futuro della
siderurgia. Continua l’enorme spreco di denaro pubblico nelle casse di
Alitalia, senza un piano industriale. La fuga all’estero dei giovani è ancora
una perdita secca per il paese. La qualità della politica e il prestigio dei
suoi rappresentati rimangono un problema irrisolto, dopo la crisi dei partiti,
la svalutazione delle formazioni intermedie, il discredito della competenza e
della professionalità.
Confrontarsi con il passato è utile,
anzi necessario. A che punto eravamo quando è scoppiato tutto questo
sconquasso? Cosa abbiamo lasciato in sospeso, o deve essere abbandonato?
Proprio da lì si deve partire per capire cosa si deve cambiare oggi. Come
eravamo e come saremo. Voltarsi indietro serve ad andare avanti.
Però, la bussola imprescindibile per
orientarci è il presente, cioè l’esperienza che facciamo oggi di noi stessi, la valutazione dei problemi, la
stima delle possibilità. E’ sempre problematico confrontare le epoche e le
situazioni. Stabilire quale sia più gravida di conseguenze. Quali sfide siano
complicate. Difficile equiparare il presente al passato. O indugiare a
chiedersi, proprio ora, con il virus in casa, non sulla porta, perché non si
parli d’altro. O se sia appropriato il linguaggio fatto di parole come guerra,
battaglia, nemico, che evoca altri scenari. Non è il momento, non è il caso.
Ma poi è davvero così? Non si parla
d’altro che di una malattia? Il Covid-19 ci ha messo a nudo nel profondo. Ha
mostrato le nostre fragilità, la permeabilità dei confini da parte del male, la
globalità mortale della sfida. Ma ha anche stimolato la nostra capacità di reazione.
La necessità di solidarietà. Un problema
di tutti e per ciascuno. Questo virus ci fa da specchio, in pieno, rispetto
alle scelte di vita, ai problemi da risolvere. All’esistenza intera in questo
momento storico.
Il confronto con il passato nasconde
l’insidia di una semplificazione involontaria e controproducente. Il nuovo è
l’eterna ripetizione del già visto? Altri problemi, ma non più gravi di quelli
del passato, rimasti irrisolti. Si rischia, mettendo il nuovo al posto del
vecchio, di mistificare semplicemente la realtà? Come dire: mentre tutto
cambia, tutto rimane com’era. Spostiamo l’attenzione altrove, ne rimaniamo
invischiati, e cadiamo così in un inganno?
Il nuovo non ci proietta in una
dimensione alienante se non lo vogliamo. La storia non si ripete uguale, e non
è priva di senso: la precarietà della vita, l’insicurezza, la difficoltà di
realizzazione personale attraversano tutte le epoche, ma in forme diverse.
Necessariamente differenti sono e devono essere le risposte. Si rischia
altrimenti di non apprezzare ciascun tempo in ciò che gli è proprio ed
esclusivo. Di valutarne le esatte caratteristiche, difetti, ma anche aperture.
Non dobbiamo aver paura di fronte al
nuovo che avanza e che, qualche volta, ci apporta anche del buono. Ci sono già abbastanza ragioni per
essere perplessi. Chissà se riusciremo davvero a venirne fuori, a recuperare il
tempo perso, a sanare tante falle: nella sanità, nella scuola, nella giustizia,
nel lavoro, nelle istituzioni. E chissà quando potremo uscirne con dei
risultati. Tuttavia, non dobbiamo temere di immergerci nel presente, di
comprenderlo, di analizzarne i caratteri. Anche per evidenziarne limiti e negatività.
Pericoli. Potrebbe accaderci, se lo facciamo, di scoprire qualcosa di noi
stessi, che ci possa tornare utile nel futuro. Come stiamo reagendo alle
difficoltà, come stiamo giocando la nostra vita?
La disciplina, la solidarietà, la capacità di fare rinunce,
la percezione del bene comune: forse sono tutte cose che potremmo mettere da parte, nel
bagaglio individuale e collettivo, quando si tratterà di ricominciare,
facendole fruttare domani. Perché allora non aggiungere un ultimo elemento,
piccolo forse, ma non di poco conto? E’ il senso di commozione che ci
accompagna in questi giorni di forzato isolamento e di brutte notizie, in cui
cerchiamo di coltivare un po’ di speranza e fiducia. Abbiamo bisogno di tornare
a emozionarci per una causa. Dietro la suggestione per le canzoni suonate sui
balconi, lo sventolio di bandiere, le immagini dei luoghi famosi d’Italia
avvolti dal silenzio e i camici bianchi negli ospedali, c’è solo questo: la
sincerità, forse un po’ ingenua ma autentica, dei sentimenti, che chiedono di
essere liberati.
* Leggi La Voce di New York:
Ripartire dopo il Covid-19: come sarà il futuro prossimo? Quanto diverso?
Nessun’altra epidemia nell'era moderna ha avuto gli effetti devastanti del Covid-19 sull’economia, sui rapporti sociali, sugli stili di vita
* Leggi La Voce di New York:
Ripartire dopo il Covid-19: come sarà il futuro prossimo? Quanto diverso?
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