Stare a casa, l’abbiamo
sempre sognato. Ma con il Covid-19 e la chiusura delle attività
lavorative, è tutto diverso: siamo proprio disorientati
di Marina Zinzani
Riconnettersi al proprio mondo, cogliere quel frammento in
cui ci riconosciamo, in cui l’anima si sente a casa.
La casa: parla di noi, ma di un noi complesso, confuso, in
cui ogni cosa sembra apparire vaga, impalpabile. La casa è vissuta in fretta,
fra orari, doveri, incombenze. E’ quella che ci siamo scelti, in cui si sono
espressi i nostri caratteri, le preferenze, a cominciare dai colori che amiamo,
dalla cura del verde, da una passione.
Ora, in isolamento forzato, questa casa spesso così
desiderata, può diventare compagna pesante, noiosa. Una frequentazione che può
portare a un vago senso di vuoto. Perché il vuoto e la paura si respirano, si
possono respirare ovunque in questo momento che appare così sospeso.
La casa diventa specchio: i corpi un po’ trascurati, la cura
a cui riserviamo loro, e la mente, soprattutto la mente indirizzata verso cose
ovvie, programmi alla tv che alimentano il senso di vuoto, la rabbia, la
frustrazione, l’inquietudine spesso così evocata, tutto questo si accompagna
alla casa, alle cose lasciate in sospeso, a quel libro che non abbiamo aperto,
eppure ci ispirava tanto quando l’abbiamo comprato, a quell’interesse che non è
stato approfondito. Perché c’è la quotidianità, un tran tran che inghiotte
tutto, senza permettere di vedere molto.
La quotidianità è una pianta sul balcone. Un balcone oggi
può fare la differenza. Quel poco spazio può essere riempito di forme viventi,
di fiori, di vasi con le erbe aromatiche. Sono qualcosa di vitale, e il
prendersene cura, ora che c’è un po’ più di tempo, diventa cura di una parte di
noi stessi, il toccare la terra, il dare acqua, il constatarne la crescita.
La quotidianità oggi può essere piena di opportunità. Si
mescola anche questo, così spesso ricordato ora, le mille cose che si possono
fare in questo momento in casa, il ritrovare il piacere della lettura, lo stare
in famiglia, queste cose che ci vengono continuamente ricordate si mescolano
alla paura, al futuro, che sicuramente in termini economici avrà non poche
incognite. Si mescola a un senso di disorientamento, nel riscoprirsi così
fragili, inermi. Un colpo di tosse di qualcuno accanto a noi può segnare la
vita, la nostra e quella di chi ci è accanto.
La quotidianità e le cose semplici. Forse qui sta
l’opportunità per un incontro con noi stessi. Una piccola evoluzione espressa
in una ricetta etnica, un mondo a cui ci si avvicina. Ricetta che era un nome,
e che ora finisce in un piatto, attraverso le nostre mani. E soprattutto
attraverso la nostra curiosità e il desiderio di migliorarci.
La quotidianità e il girare pagina. E’ inevitabile che nella
solitudine si facciano bilanci, emergano ricordi. La vita è sempre una prima
stesura, non si ricopia in “bella copia” come quando si andava a scuola. E’
quello che è stato, gli errori, quello che uno ha potuto fare, che ha fatto con
gli elementi, le persone che aveva accanto, negli ambienti in cui era immerso.
Il girare pagina richiede coraggio, le catene dei ricordi possono essere cosa
dolente, senza fine, senza chiave di apertura del lucchetto. Il girare pagina
diventa un atto di amore verso noi stessi, accettando l’essere che siamo stati,
nella nostra incompletezza.
E diventiamo come le piante nel balcone. Hanno bisogno di
cura, di acqua, di sole. Ben poco, in fondo. Alle persone serve soprattutto un
po’ d’amore, nelle sue molteplici forme.
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