martedì 21 aprile 2020

Di ritorno

La sua vita non mi apparteneva più, ma un giorno di dicembre bussò alla porta. Lo feci entrare

di Cristina Podestà

Senza pensare mi ero alzata dal divano ed ero corsa ad aprire la porta. La distanza tra il corridoio e il citofono mi pareva lunga, troppo lunga. Aspettavo qualcuno. E, nell’attesa, mi ero decisa a leggere. Mi era capitato tra le mani “Il Piacere” di Gabriele D’Annunzio, opera a me cara da sempre, dalla prima volta in cui, giovanissima, mi ero accostata a questa lettura non semplice per una adolescente.
Avevo letto di D’Annunzio, che aveva vissuto in Versilia e che aveva scritto quel pezzo di musica meravigliosa che è “La pioggia nel Pineto”. E così mi ero interessata a lui tanto, da cercare gli scritti in prosa. Quel giorno eravamo nel periodo natalizio e l’incipit del Piacere mi pareva giusto per quell’attesa.
“L’anno moriva assai dolcemente”. Giusto. Era verso l’imbrunire, avevo il camino acceso dove crepitava la legna, io aspettavo una persona cara con la quale fare i conti, con la speranza che tutto filasse liscio, e quell’incipit cascava a pennello. Non ero a Roma. Questo no. Però avevamo fatto, alcuni mesi prima, un viaggio nella Capitale e mi pareva che tutto quanto fosse in sintonia.
Dunque il suono del citofono mi fece alzare di scatto e aprii la porta. Marco era lì, davanti a me: il cappotto verde scuro, la cravatta, l’abito blu che io adoravo, i capelli biondi e grigi scompigliati, gli occhi blu intensi come un cielo d’aprile, un sorriso accattivante e i fiori. In mano. I miei fiori. Amavo i tulipani e gli anthurium!
Marco! Era tornato da me. Mi accorsi che forse non avevo un abbigliamento adatto a riceverlo. Capelli raccolti con una pinza, un jeans stinto e un maglione di cachemire troppo lungo e pesante.
La sua vita da almeno un paio di mesi non mi apparteneva più. Solo poco tempo prima eravamo in aeroporto, a bere e fumare, in attesa del decollo. Ma solo qualche ora dopo non mi capacitavo di cosa fosse successo. Una gran confusione in testa, la mia valigia e il taxi. E lacrime amare sul viso.
Quella donna, incontrata per caso, apparteneva a una dimensione esistenziale diversa dalla mia ma non da quella di Marco. Gli era corsa incontro, con una confidenza e intimità che non lasciavano spazio a dubbi. Aveva lambito la mia vita, Lorenza. Conduceva, a detta di Marco, una vita carica di mistero, grandi esperienze, affascinanti prospettive. Ma con lui aveva chiuso. Diceva così Marco.
Ma all’aeroporto avevo intuito che così non fosse. E mi ero dileguata, col cuore gonfio di un dolore lancinante. Allontanata proprio. Non volevo vederlo mai più. Adesso era Natale. E Marco era tornato da me, coi fiori in mano e il blu dei suoi occhi. Aprii la porta e lo feci entrare. Forse avrei sbagliato. O forse no.

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