Non aveva mai vagheggiato
avventure con quella donna. Accadde all’improvviso, non riuscì a
pensare quanto fosse assurdo. Un senso di vertigine. Lei così seducente
ed irresistibile.
di Laura
Maria Di Forti
Virgilio era solito
uscire dal laboratorio dopo aver telefonato a Diana, la moglie, per mettersi
d’accordo sull’ora in cui si sarebbero incontrati alla fermata del tram e tornare
a casa insieme.
Una sera, dopo averle
dato appuntamento, si diresse verso l’ascensore e lì, dietro le porte che in
quel momento si stavano aprendo, comparve Tina Galli, la segretaria del
direttore sanitario.
Tina era una donna di
una bellezza vistosa, i capelli castani lasciati ricadere sulle spalle, gli
occhi neri profondi, le movenze sensuali del corpo, le minigonne indossate con
studiata grazia, un’innata propensione per la provocazione. Usava il suo corpo
per far capire agli uomini che adorava farsi ammirare, che pretendeva il loro
desiderio, che si vestiva e si pettinava per loro, per essere osservata,
guardata, per suscitare ammirazione, smania e cupidigia. Tina era la maliarda
del reparto, la seduttrice di medici e analisti, l’incantatrice ai cui piedi
tutti gli uomini avrebbero voluto cadere.
In ascensore Virgilio
si sentì in trappola. Non aveva mai vagheggiato su quella donna certamente
attraente ma troppo lontana dall’immagine che lui aveva della donna ideale.
Diana assomigliava al tipo di donna ideale, ma negli ultimi tempi la moglie era
distante, assente e perfino, talvolta, ostile.
Mentre l’ascensore li
portava a pianterreno, Tina si voltò verso di lui con sfrontatezza, indugiando
nel guardarlo con un fare che sembrava quasi di sfida. Virgilio credette
perfino di sentirle dire “E allora, mio bel dottorino, cosa vuoi che facciamo?”
Ma erano solo le sue fantasie, pensò.
Poi, però, lei spinse
il bottone di arresto e l’ascensore si fermò tra il quarto e il terzo piano. Le
luci si spensero per un secondo, il tempo sufficiente perché lui sentisse le labbra
di lei sulle sue, il seno premere sul suo petto. Virgilio era in gabbia, ma la
cosa lo fece sentire bene. La carica di desiderio di Tina lo contagiò
all’istante, non ebbe nemmeno il tempo di pensare che la situazione era
assurda, che Diana lo stava aspettando per strada e che niente sarebbe stato
più come prima.
Tina continuava a
baciarlo, lo strattonò perfino, impedendogli qualsiasi riparo.
“Non sono
difendibile” pensò Virgilio. Si sentì vittima di quel desiderio improvviso, mai
intuito, mai immaginato e nemmeno desiderato. La prese tra le braccia
ricambiando la smania di lei.
Poi, entrambi si
ricomposero, lei schiacciò il pulsante per arrivare al pianterreno e, usciti
dall’ascensore, si incamminarono muti nel parcheggio degli impiegati
dell’ospedale. Tina salì sull’auto di Virgilio e si fece accompagnare a casa.
Lì consumarono il desiderio di entrambi, lei novella Eva tentatrice e lui,
felice di essere sedotto.
Quando Virgilio tornò
in auto, si rese conto che erano passate quasi due ore da quando aveva
telefonato alla moglie. Passò davanti alla fermata del tram e, non vedendola,
scese in un bar per telefonare a casa. Sua madre era preoccupata, Diana era
ormai arrivata, dopo aver tanto aspettato, e temevano entrambe che lui fosse
stato coinvolto in un incidente. Arrivato a casa, Virgilio spiegò di essere
stato fermato dal direttore sanitario. Diana parve un poco contrariata ma non
si adombrò più del solito.
L’indomani mattina,
quasi come un automa, senza sensi di colpa, senza rifletterci più del dovuto,
Virgilio entrò in reparto ma subito salì al piano di sopra a cercare Tina.
Sembrava si fosse volatilizzata, tutti l’avevano vista ma lui non la trovava. La
vide soltanto nel pomeriggio, dopo aver trascorso le ore della mattina con la
testa per aria, il vuoto nel petto e un senso di vertigine che si riaccese
appena lei comparve davanti a lui.
“Sono qua – disse
Tina con convinta serietà – Ti ho pensato, e so che anche tu hai pensato a me.
Pertanto, ti voglio stasera a casa mia. Mi farò trovare al parcheggio fra due
ore. Non farmi aspettare”.
Poi si voltò senza
lasciargli il tempo di ribattere. Tina non ammetteva rifiuti.
Virgilio telefonò a
casa, disse di dover finire un lavoro urgente per il direttore sanitario.
L’appartamento di
Tina era piccolo ma ben arredato. Apparteneva alla sua famiglia, lei era nata
proprio nella camera da letto dove ora si abbandonavano ai rituali per il
soddisfacimento della loro ingordigia. Dalla finestra si intravvedeva il
campanile della Basilica di San Lorenzo che batteva l’ora sconquassando l’aria.
Virgilio era un poco a disagio ed essere lì, con accanto quella donna
bellissima e sensuale, una vera maliarda se confrontata con la dolce, pudica e
riservata Diana, lo faceva sentire fuori luogo. Eppure, nonostante tutto, lui
era lì e, se lei glielo avesse chiesto, sarebbe stato disposto a tornarci ogni
sera, ogni maledetta volta che lei lo avesse preteso.
Qualche settimana
dopo, in un momento di riflessione dettata dallo sguardo acuto di sua madre,
Virgilio si chiese quanto tempo ancora sarebbe continuata la smania di Tina per
lui. Era una donna che si stancava presto, almeno così si diceva in giro.
Spasimava per un uomo e sembrava non volere altro che succhiargli la linfa
vitale, sottometterlo ai suoi desideri, togliergli il fiato ma riempirlo al
contempo di attenzioni, di baci, di carezze, circondarlo di movenze sensuali,
sguardi provocanti, pose lascive e fargli capire che niente più importava se
non loro due, insieme.
Ma poi, con la
rapidità di un vagone lanciato a velocità contro un muro, il malcapitato veniva
respinto, rifiutato, e si ritrovava totalmente incapace di capire per quale
ragione fosse stato abbandonato, cosa fosse successo, quali avvenimenti fossero
accaduti per stravolgere la situazione, rendere impossibile ogni futuro
incontro, vanificare i baci e annullare ogni abbraccio. Semplicemente, Tina si
era stancata e, forse, c’era già qualcun altro da sedurre. Il gioco è bello
quando dura poco, si dice. Tina era una bambina che si annoiava presto e aveva
bisogno di un nuovo trastullo.
Virgilio fece queste
riflessioni una domenica pomeriggio. Diana era andata ad accompagnare Allegra a
casa di una compagna di classe che compiva dodici anni. Anna da tempo ormai si
era accorta dello strano comportamento del figlio, silenzioso, la testa tra le
nuvole, e poi le telefonate, ormai troppo frequenti, per dire che non avrebbe
cenato a casa. Il lavoro era una scusa bella e buona, pensava l’anziana donna, qualcosa
di terribile stava accadendo a suo figlio. Lo guardò negli occhi per fargli
capire che lei lo conosceva bene e che si rifiutava di credere alle sue bugie.
“Ho un’amante” ammise
lui. Mentire alla madre, proprio non poteva.
“E Diana? Come puoi
farle questo?”
“Diana ed io siamo
ormai due estranei. Lei è presa solo da Allegra, credo di non contare nulla,
ormai, per lei. O forse, non ho mai contato nulla. Cosa deve fare un uomo
quando la propria moglie lo guarda con disinteresse, perfino con disgusto?”
A quelle parole Anna
si mise una mano sulla bocca, quasi a voler reprimere lo stupore per ciò che si
stava producendo sotto i suoi occhi.
“Devi lasciare quella
donna, chiunque ella sia” gli disse uscendo dalla stanza.
L’indomani, mentre si
trovava a mensa, gli si avvicinò Tina e, con un sorriso finto per nascondere
ciò che stava dicendo, gli fece sapere che la loro relazione era da
considerarsi definitivamente conclusa. Il tempismo di Tina fu, forse,
l’elemento che più lo colpì in tutta quella dannata storia.
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