(Giorgio de Chirico) |
La contraddittoria percezione del tempo nel lockdown: l’infinito presente, non più codificato da impegni, che ci ha disorientato ma anche offerto possibilità sconosciute
(Angelo Perrone) Ora che siamo ripartiti, dobbiamo ricordarlo. Ci
portiamo appresso un bagaglio anomalo. Le sensazioni provate mentre le libertà
erano limitate, le realtà dimenticate e riscoperte nella strana condizione di
reclusi in casa. Sarà utile rammentarlo, prima che la memoria sfumi.
Ci sforziamo di tornare alla normalità con la
riapertura delle fabbriche, la ripresa delle attività, gli spostamenti tra regioni.
Le mille prove di ripresa, necessarie, per l’economia e il nostro benessere, insieme
a tutto il resto, il turismo, la cultura, lo spettacolo. Serviranno molte
energie, oltre a tanti soldi. E non sappiamo se basteranno le capacità che,
nonostante cedimenti e errori, abbiamo finora mostrato.
Pesa il fatto d’essere rimasti fermi per troppo
tempo, immobili nelle nostre case, bloccati dalla paura del contagio,
preoccupati per il futuro. Obbligati a cambiare stili di vita, dopo aver perso i
riferimenti. Niente più orari di lavoro, scadenze, a regolare il ritmo delle
giornate: l’uscita di casa, la pausa pranzo, il rientro in famiglia. L’accudimento
di figli ed anziani, le incombenze. Buon ultimo, il divertimento, il contatto
tra amici, l’affetto verso i propri cari.
Abbiamo sperimentato un tempo nuovo, aperto e sconfinato,
da che era limitato. Dilatato a dismisura mentre tutto ci era proibito, e lo
spazio intorno si restringeva. Le città deserte, avvolte da un silenzio
innaturale, offrivano un habitat
insolito. Improvvisamente, avevamo a disposizione una libertà così ampia da
sembrarci eccessiva. Anarchica ed insensata.
L’annullamento delle regole ci ha dato la
sensazione che l’orologio si fosse fermato e le lancette avessero smesso di
andare avanti. Era la normalità al tempo del Covid, non più codificata da
schemi, o disciplinata da regole, diversa dalla precedente, ma anche da quella
che faticosamente stiamo ricostruendo ora.
Pochi punti fermi a segnare le giornate, dopo che
le restrizioni avevano colpito anche gli affetti. La spesa ogni tanto,
l’immondizia nei cassonetti, e, per pochi, la passeggiata con il cane. Per il
resto, un orizzonte indefinito. Senza un perché. In cui era difficile
orientarsi. Perché alzarsi alla stessa ora se non dobbiamo più uscire di casa? Che
fare in tutto il tempo a disposizione?
Abbiamo provato smarrimento, da quando inseguivamo
le ore, in preda a frenesie e urgenze. Di colpo, non più soffocati dagli
impegni, in difficoltà ad usare la libertà che avevamo disperatamente sognato. Come
sarebbe bello starsene sprofondati su un divano a leggere o ascoltare musica,
ci eravamo ripetuti di continuo, prima che, accadendo davvero, ci sentissimo
disorientati. Non sempre abbiamo trovato un equilibrio soddisfacente.
Proviamo a pensarci ora, per averne una conferma.
Quanto è durato davvero, per ciascuno, tutto questo periodo? E’ stata una
fermata lunga o breve? Non guardiamo ai dati ufficiali del lockdown, quelli li conosciamo bene. Da marzo a giugno, sono circa
tre mesi. Piuttosto, pensiamo al tempo interiore, a quello che ognuno ha speso
per resettare le proprie giornate.
Oggi non ne sappiamo calcolare la lunghezza
effettiva. Il periodo non è stato uguale per tutti. A domande semplici
rispondiamo in maniera diversa. Era facile arrivare alla sera, oppure le ore
non passavano mai? Stare a casa era un’idea comunque confortevole o ci ha
spaventato, generando ansia? Come ce la siamo cavata insomma, tra nuove angosce
e ricerca affannosa di una quiete diversa?
Abbiamo conosciuto una situazione differente. Il tempo
non era più regolato dall’esterno, definito dalla cornice degli impegni. Una
serie di incombenze limitanti, ma portatrici di senso. Indicatrici di una
direzione verso la quale andare. In una parola, un tempo organizzato e
finalizzato ad uno scopo. Perciò rassicurante.
Una condizione del tutto naturale e consueta nelle
società occidentali, dove il tempo è principalmente organizzazione sociale.
All’opposto di altri contesti che non appartengono necessariamente ad epoche
trascorse, attraversati da maggiore lentezza. Un’altra nozione di tempo, dove
prevale un ritmo ciclico con la ripetitività degli eventi importanti, in una
sorta di andamento circolare della vita: l’alternarsi delle stagioni, le
produzioni agricole. L’evoluzione naturale delle cose.
Siamo stati colti alla sprovvista da un sovvertimento
a cui è stato difficile adattarsi. E’ accaduto perché il rapporto con il tempo
è più complesso di quello con lo spazio. I luoghi hanno una loro concretezza, sono
raggiungibili. Trasmettono in noi il senso della governabilità. Ci sentiamo
padroni dello spazio, cioè della realtà, mentre il tempo è sempre sfuggente.
Il viaggio nel tempo riguarda mete immateriali. Un
passato che è stato reale soltanto in una fase ormai esaurita, che ora non
esiste più. E un futuro ancora da venire, sottratto alle percezioni presenti. Entrambi
quindi inafferrabili: anche inconsistenti? E’ spiazzante muoversi tra punti così
evanescenti: avvolti da ricordi, oggetto di anticipazioni. E’ complicato
spostarsi con la mente anziché con il corpo.
Senza le cose da fare, i lacci e gli obiettivi
che cadenzavano le giornate, abbiamo avuto più tempo per pensare. Rimanendo esposti
alla variabilità delle emozioni del momento. Siamo entrati in contatto con noi
stessi senza filtri, e la dimensione soggettiva ci è apparsa improvvisamente
spoglia. Siamo rimasti a lungo così, dopo aver messo da parte l’involucro del
ruolo sociale.
Il venir meno dell’abitualità ci proietta verso
un vuoto che offre alimento alla tristezza, dà spazio alla depressione. Le
emozioni negative ci spingono a pensare che il tempo proceda a rilento, perché
in fondo privo di senso. Non sappiamo chi siamo, cosa vogliamo, cosa fare di
noi nel tempo che abbiamo a disposizione.
A queste sensazioni, si accompagna la percezione
di uno spaesamento. Qualcosa di simile all’essere in mare aperto, al buio,
senza riferimenti. Sopravvivere dipende dalle capacità di reazione dei singoli e
dalla variabilità delle situazioni in cui si vive. Lo vediamo negli anziani: si
concentrano di più sulle cose lontane, che vengono sminuzzate in tanti dettagli,
e questo sguardo sembra esaurire ogni interesse vitale. Per loro, il tempo è un’entità
più lenta e distante. Non solo l’età, ma anche le emozioni negative possono
determinare lo stesso effetto. Lo sconforto, il disagio, il malessere finiscono
per dilatare il tempo, renderlo infinito, perché vivere è troppo pesante.
Ora che le lancette si sono rimesse in moto, che ci
attraversa il desiderio di gettarci di nuovo nella frenesia, è prezioso
ricordare quello che abbiamo provato nel tempo appena vissuto, lungo o breve
che sia stato. Di certo le giornate non hanno regalato soltanto smarrimento, paura,
angoscia. Ciascuno ha sperimentato anche altro: scoperte, sorprese, magari
persino istanti di insperata felicità.
Nulla che già non conoscessimo, in fondo; che non
fosse avvenuto anche prima della pandemia. Ricordate? Ogni volta che abbiamo
vissuto un amore, percepito una passione o coltivato un interesse, il tempo –
vissuto tanto intensamente - ci è sembrato troppo breve. Perché così
striminzito, ci siamo chiesti, quando ce ne servirebbe altro? Ne avremmo voluto
di più, per continuare a provare quei sentimenti positivi. Qualcosa di simile,
di fronte a scoperte impreviste, l’abbiamo avvertito durante il lockdown.
Mentre riprendiamo la vita precedente, resta il
ricordo di qualche istante, pur piccolo e sfuggente. Gesti, parole, suoni,
contatti. Anche queste cose hanno fatto parte di quel presente rarefatto e
silenzioso, quanto una piazza di Giorgio De Chirico, che è stata l’emergenza.
Un momento sospeso e tuttavia dotato di incredibile corposità.
Il tempo non è, come abbiamo creduto sino ad
ieri, solo merce o valuta, da comprare o vendere, regalare o tenere per sé.
«Non sprecare tempo», «Approfittiamo del tempo libero», «Ogni cosa ha il suo
tempo». Ci rapportiamo così al tempo. In questo modo ne parliamo. E soprattutto
il suo scorrere non è uguale per tutti, e non ha un senso costante neppure per
ciascuno di noi. Lento o veloce. Si esaurisce a fatica, o ci incalza
freneticamente. E’ accaduto da reclusi in casa, ma è sempre successo e così
potrà avvenire anche in futuro. Esserne consapevoli ci offre delle chance in
più.
Fuori dal calendario, il tempo è una nozione
molto relativa. Impossibile non credere che la sua percezione dipenda da età, impegni,
emozioni. Lo viviamo in forme diverse, con alterni e contrastanti stati
d’animo. Persino durante i periodi più angosciosi come il lockdown, ci sono stati spirali di luce, che ci fanno ben sperare
per domani.
Anche la scienza ne è convinta: il tempo non è lì
costante, né scorre sempre allo stesso modo, il medesimo per tutti in ogni
luogo. E forse è pure imprecisa la scansione tra passato, presente e futuro. Può
essere che realtà e immaginazione si confondano. Che anche mete irreali siano
perfettamente raggiungibili. Chissà.
Ma soprattutto, il significato ultimo del tempo dipende
da noi stessi. «Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che
facciamo mentre passa», scriveva Albert Einstein, che di relatività
s’intendeva. Quello degli uomini è certamente un destino comune, ma ognuno gli
va incontro a suo modo.
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