Nello sguardo della signora elegante, un fastidio che ferisce
di Cristina Podestà
Vado avanti ed indietro per il treno
cercando un posto in cui sedere, chinandomi a raccogliere un libro che con una
frenata brusca mi è caduto. Alzo lo sguardo e incrocio il tuo mentre mi guardi
con quell’aria di superiorità da quel sedile dove sei adagiata, con la
pelliccia aperta che scende ai lati dei braccioli fin quasi a terra.
Lo so che pensi io possa essere
inferiore a te, perché ho un handicap fisico. Mentre sono intenta a raccogliere
il mio libro, su cui ho sudato la notte precedente, mi squadri con aria di
sfida.
Ruoto il capo mentre sono ancora
chinata ed incrocio volutamente il tuo sguardo fissandoti e tu capisci che non
puoi mascherare il tuo disappunto e dunque volgi il viso altrove, quasi
infastidita. Tu. Infastidita tu della mia presenza!
Io distolgo lo sguardo. Gli altri
presenti chiacchierano e ridono delle loro questioni. Un signore in disparte è
affannato a discutere di affari al cellulare, un ragazzo con l’acne si tira i
capelli davanti alla faccia e aggiusta il collo della maglietta più in alto che
può.
Sai, bella signora, esiste anche la
disabilità e la povertà. Io le conosco entrambe, tu nessuna delle due credo.
Oppure no, forse tu sei miope, non vedi bene. Eppure io credo che tu sia a
disagio. Non adesso, certamente no. Ma in generale, nella vita, tu devi essere
infelice e miope.
Mi sono seduta di fronte a te,
perché si è liberato un posto. E mi fissi con una spudoratezza che mai ho
notato. Guardi il mio braccio devastato, brutto e angosciante. Ho le maniche
tirate su e lo vedi bene, voglio che tu lo osservi così ti farò schifo per quel
poco di viaggio che faremo insieme.
Non ho paura a mostrarmi qual sono.
Non mi interessa il tuo giudizio. Intanto passa il controllore e a fatica tiro
fuori il mio abbonamento. Tu fai vedere qualcosa sul tuo cellulare e non ti
viene in mente di aiutarmi. Non importa, lo fa il controllore.
Salgono dei bambini vocianti e
scherzosi, con una tata affannata. Sposti scocciata il lembo del tuo visone,
temi che lo calpestino. Io guardo fuori dal finestrino, ma sento forte il tuo
occhio fermo sulla mia mano che non c’è.
Vorrei gridarti in faccia le mie
notti insonni, i dolori post intervento, la rabbia e le sofferenze mie e dei
miei familiari. Ma poi penso non sia giusto darti tanta soddisfazione. Girando
la testa per non guardarti, vedo persone differenti, alcune assorte nei loro
guai, altre spensierate. Nessuna mi guarda come te.
Ecco, ti alzi da quella poltrona,
sei alta e flessuosa ed incedi maldestramente verso l’uscita. Ti volti appena e
degni di un ultimo sguardo impietosito questo povero essere umano inferiore,
felice di potertene liberare e ti avventuri per il marciapiede della stazione
che porta sulla piazza della città.
Peccato. Sei tanto misera e meschina
e mi fai pena. Avrei volentieri fatto la tua conoscenza e magari avremmo potuto
parlare del più e del meno.
Ma la miopia nella vita non si
corregge, non si può salvare un cieco come te. La tua disabilità è molto più
grave della mia.
Al tuo posto si è seduto un bel
ragazzo con un sorriso smagliante con cui ho cominciato a parlare. Tra meno di
mezz'ora non mi ricorderò nemmeno che tu esisti.
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