Piccole orme lasciate sulla sabbia, come tracce per ritrovare ricordi d’infanzia. Un cammino a ritroso. Verso il mistero
di Angelo Perrone
Quando potevo correre sulla
spiaggia, ero felice. Ci andavo di prima mattina, mentre il sole era appena
spuntato sul mare e il buio tardava a dileguarsi. La raggiungevo in bicicletta,
dopo aver percorso stradine sconnesse, punteggiate da rami o pigne, nella
pineta che separava la mia casa dal mare.
Mi bastavano quelle poche centinaia di metri per sentire un forte odore di resina che, nel fresco delle prime ore del giorno, appariva più intenso e pungente.
Mi bastavano quelle poche centinaia di metri per sentire un forte odore di resina che, nel fresco delle prime ore del giorno, appariva più intenso e pungente.
La
sabbia era insolitamente scura e dava, a chi non la conoscesse e non ne fosse
abituato, una sensazione di sporcizia.
Invece
il colore era frutto di una particolare composizione della sabbia. Nella notte,
poi, il buio trasformava la spiaggia in una grande ed uniforme macchia nera.
Non
solo la battigia, battuta dalle onde del mare, ma anche l’intera ampia spiaggia
si mostrava livellata, come se, da poco, gli operai degli stabilimenti balneari
avessero provveduto a pulirla e a spianarla con i loro trattori, che alzavano
sempre buffe nuvole di polvere miste al fumo prodotto dai motori a gasolio.
Il
mare, di solito violento e burrascoso durante il giorno, era più calmo nelle
ore notturne. Anche lui non osava, con le sue onde tumultuose, disturbare il
sonno della lunga distesa sabbiosa e così si limitava ad accarezzarla appena un
po’, in silenzio.
Di
tutta la spiaggia di Fregene, profonda almeno duecento metri tra il mare e gli
stabilimenti balneari che sorgevano a partire dal lontano “villaggio dei
pescatori”, preferivo una piccola striscia proprio a ridosso delle acque: era
la parte impregnata d’acqua, ma non costantemente battuta dalla risacca.
Era
compatta, abbastanza resistente ai passi, che così non affondavano come
avrebbero fatto nella sabbia asciutta o in quella intrisa d’acqua. Il mare vi
aveva deposto gusci di piccole conchiglie,
incastonandole nella sabbia. Era lì che provavo una straordinaria
felicità mentre correvo la mattina presto, lasciando dietro di me orme distanti
di grandi passi.
Mi
sorpresi, un giorno, ad osservare che sulla striscia di sabbia dove stavo
correndo c’erano già delle orme, forse lasciate da qualcuno che, nonostante
l’ora così mattutina, mi aveva preceduto.
Non
potevano essere i pescatori di telline, che in genere arrivavano più tardi e
seguivano altri percorsi. Li vedevi provenire dalla strada e dirigersi diritti
verso il mare, e poi lasciavano, con i loro retoni, segni inconfondibili del
loro passaggio.
Nemmeno potevano essere i ragazzi che, accendendo grossi falò sulla sabbia e cantando vecchie ballate, attendevano le prime luci del giorno. Infatti, non c’erano tracce di tizzoni o rami bruciati e poi i giovani rimanevano intorno ai fuochi a scaldarsi nell’umidità della notte inoltrata, prima di tornare a casa.
Nemmeno potevano essere i ragazzi che, accendendo grossi falò sulla sabbia e cantando vecchie ballate, attendevano le prime luci del giorno. Infatti, non c’erano tracce di tizzoni o rami bruciati e poi i giovani rimanevano intorno ai fuochi a scaldarsi nell’umidità della notte inoltrata, prima di tornare a casa.
Le
orme avanti a me erano piccole, ravvicinate, procedevano diritte e parallele al
mare, nella mia stessa direzione da nord a sud, e cioè dal villaggio dei
pescatori verso la zona del faro. A
volte il loro disegno si modificava, ed esse apparivano ora più vicine, ora più
distanziate. Nonostante la loro piccola dimensione, non poteva trattarsi
neppure di animali, che lasciavano tracce completamente diverse e
riconoscibili.
Si
poteva intuire un andamento a zig zag perché le orme si dirigevano verso il
mare, dove si interrompevano, per poi riapparire alcuni metri più avanti, in
direzione obliqua verso la terraferma. Però, in alcuni punti, senza una
apparente ragione, esse terminavano improvvisamente, ancor prima di raggiungere
le onde del mare.
La
zona era completamente deserta. Intorno a quelle impronte, non vi erano segni
di una presenza umana e neppure tracce del passaggio di mezzi meccanici, pur
molto diffusi da quelle parti per via del turismo e della vicinanza ad una
grande tenuta agricola.
Ad
un certo punto, le impronte, ormai discontinue e poco visibili, scomparvero.
Incuriosito, percorsi alcuni metri convinto di rivederle più avanti come era
sempre accaduto, ma stavolta non riapparvero.
A
quell’ora, in cui il sole si era sollevato completamente dalla linea
dell’orizzonte e il mare era più mosso, le onde si allungavano profondamente
sulla spiaggia deserta, risucchiando rapidamente i passi che lasciavo dietro di
me sulla battigia.
All’improvviso,
notai che la sabbia mostrava, tra il mare e l’entroterra, delle irregolarità;
erano piccole, ma visibili da lontano perché rompevano il disegno uniforme
della sabbia livellata.
Mi
resi conto, avvicinandomi, che erano le stesse piccole impronte che avevo
notato in precedenza. Esse dunque non erano scomparse come sembrava, ma erano
state solo cancellate dalle onde diventate più impetuose e travolgenti.
I
passi però non procedevano più nella stessa direzione di prima, lungo il mare,
ma si allontanavano dall’acqua e, con una leggera curva, attraversavano tutta
la spiaggia raggiungendo un vecchio capanno.
Fu costruito, chissà da chi, molti anni prima con materiali di fortuna, vecchie tavole, pezzi di lamiera, ma ormai era abbandonato. La porta, formata da quattro assi incrociate, era rimasta semichiusa dopo che la salsedine ne aveva bloccato le cerniere. Dentro non c'era nulla, se non qualche rifiuto, e talvolta vi bazzicavano cani randagi in cerca di cibo.
Fu costruito, chissà da chi, molti anni prima con materiali di fortuna, vecchie tavole, pezzi di lamiera, ma ormai era abbandonato. La porta, formata da quattro assi incrociate, era rimasta semichiusa dopo che la salsedine ne aveva bloccato le cerniere. Dentro non c'era nulla, se non qualche rifiuto, e talvolta vi bazzicavano cani randagi in cerca di cibo.
Seguendo
le orme, raggiunsi il capanno in pochi attimi e quando fui lì, scrutai
all’interno del piccolo locale: il mio sguardo incrociò improvvisamente gli
occhi spauriti di un bimbo che, seduto, si nascondeva nella penombra.
Non
sapevo ancora, in quel momento, che durante la notte un bambino, allontanatosi
dal villaggio, si era perso sulla spiaggia ed aveva vagato per diverse ore,
prima di rifugiarsi in un capanno che gli era sembrato simile a quello del
padre pescatore.
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