Ezio Bosso, la malattia, la musica: amava la vita. Ci manca la sua carezza
di
Marina Zinzani
Chissà dov’è quell’albero. “Stare al sole, e poi abbracciare
un albero” erano i primi desideri di Ezio Bosso da esaudire, una volta finito
il lockdown.
Quell’albero forse è vicino a casa sua, o forse lontano, in un’altra
città. Forse è in un parco, dove dei bambini corrono e gridano, in una libertà
ritrovata, dopo mesi di reclusione forzata.
Quell’albero, quello che avrebbe avuto l’onore del tocco
delle sue mani, resta solo, come se fosse un essere umano privato di una
carezza.
Si guarderà attorno, quell’albero, e vedrà la vita delle
persone riprendere timidamente, con paure, segnata, perché niente, è da dire,
sarà più come prima. Alcuni rapporti umani sono cambiati, si è potuto
riflettere di più, riguardare al passato in una sorta di verità improvvisamente
svelata. E’ un percorso difficile, di ricostruzione. Per noi di abitudini, di
vita di prima che si vuole ricomporre, come se fosse tutta lì la cosa, perché
prima si era felici in qualche modo, e non lo si sapeva. Ma forse non si era
felici.
L’albero guarderà il tramonto, e aspetterà invano. L’albero
che poteva essere il prescelto. L’albero ha radici forti, e rami alti che
guardano il cielo, ha una storia antica da raccontare, ma sarà privato di quel
momento che poteva essere, che sarebbe stato certamente, intenso, unico. La
carezza di una mano sofferente, piena di vita, di gioia.
L’albero avrebbe sentito i pensieri di quella mente, il suo
cuore che batteva, il suo riappropriarsi di un pezzo di libertà. La libertà...
La libertà in fondo Ezio Bosso se l’era costruita, giorno
dopo giorno, da quando la malattia aveva toccato il suo corpo, in un
accanimento di dei crudeli. La libertà che si crea anche in spazi angusti in
cui si è relegati, in luoghi così poco confortevoli, in realtà così
asfissianti, in corpi debilitati che non rispondono ai comandi. La libertà, in
questo caso, è come un uccello che si libra in volo, e la mente, il cuore, i
sensi, librano con esso, e si vede allora il mondo là sotto, si vedono gli
uomini affannarsi per ritagliarsi libertà più blande, fumose, si vede la storia
dell’umanità che è sempre la stessa, oppressione, doveri, obblighi, ricerca di
un senso, di affetto.
La libertà che Ezio Bosso ha saputo trovare, come fosse su
quell’uccello magico librato in volo, come se fosse salito davvero sulle sue
ali, è stata condivisa. Grande parola, la condivisione. E ha fatto vedere altri
mondi, altre prospettive, anche questa, prospettiva, è una grande parola. La
disabilità può essere accentuata in una persona che ha tutto, ad esempio, se
questa è carente di umanità, di passione. Una persona con un corpo malato, ma con
l’animo pieno di vita, può sentirla quella vita vibrare, nutrimento per sé e
per gli altri. Questione di prospettiva, appunto.
Da quella prospettiva, in cui gli dei crudeli sono stati
spiazzati, Ezio Bosso ha fatto qualcosa di unico. Gli dei crudeli non
conoscevano tutto, non conoscevano la forza e la bellezza, della musica ad
esempio, e di come questa possa oltrepassare tanti confini, percorrere mari,
oltrepassare montagne, non sottoposta a nessuna restrizione, nessun
condizionamento. Non conoscevano la forza, l’umiltà, la leggerezza, l’ironia. E
si sono sentiti spiazzati.
Gli dei crudeli hanno perso. Anche se quell’albero ora resta
solo, in attesa di un abbraccio che non ci sarà mai. Ma un giorno qualcuno gli
passerà accanto, ed ascolterà un brano. Con le sue antenne grandi, l’albero
sentirà una musica, particolare. Allora capirà: quell’abbraccio ora c’è, la
musica è di quell’uomo, è venuto da lui, sotto un’altra forma, quella che
rimarrà anche con noi, per sempre.
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