La liberazione di Silvia Romano e le
polemiche per la conversione all'Islam
di Cristina Podestà
(Commento di Angelo Perrone)
(ap) Ci sono strascichi penosi: cori petulanti, domande
insulse, perditempo in cerca di pretesti, predicatori del politicamente
corretto, anime candide, reduci del buonismo fuori contesto, infine appassionati
del fuoristrada. Un variegato caleidoscopio che vicende clamorose come quella di Silvia Romano, mettono in moto per riflesso
(quasi) condizionato.
Però il marasma non riesce a rendere torbide tutte le acque.
Ne rimane sempre qualcuna limpida, anche se è più arduo individuarla. E’
possibile tirare una riga, eliminando il ciarpame. Per rispetto, giustizia,
umanità. Anzi è doveroso. Poi emerge che tutto ciò non chiude ogni discorso
possibile. Ne apre un altro,
imprescindibile, è lo scenario delle nostre relazioni, come persone, come
cittadini: con tutto il mondo di cui siamo parte, e con noi stessi.
Sotto il cielo di una
primavera mesta, mai avrei immaginato che avrei parlato d’amore. Non il solito
amore però. Non quello di coppia, non quello di famiglia, non quello più grande
tra genitore e figlio.
Ma oggi sento come un
bisogno impellente di parlare d’amore, un amore sociale e civile, un amore per
una ragazza rapita per 500 giorni, per una vita interrotta ed ora finalmente
ripresa.
Qualcosa di
antichissimo si muove nella parte più remota del cervello. Un’urgenza dico,
quasi una paura di perdere l’essenza di essere umani. Perché tanto odio per
Silvia Romano? Perché vogliamo conoscere i contatti dell’io di una persona e
dei suoi rapporti con la trascendenza?
Si è convertita all’Islam
oppure no, è stata costretta perché indagare su una conversione religiosa,
momento intimo e privato, del tutto personale e che ciascuno condivide solo con
se stesso? E perché porci tutti gli interrogativi su questa persona, del perché
è andata in Kenya, cosa l’abbia spinta, quali problematiche interiori? A noi
non deve interessare, non si veste col velo o è arrivata con quello che ha
trovato, si tocca la pancia, è incinta, ha cambiato nome! Cose importanti e
necessarie?
Nella notte che
diventa rifugio di noi stessi, viviamo piuttosto la gioia di una madre che nel
giorno della sua festa ha potuto riabbracciare una figlia che credeva perduta.
Restiamo persone pensanti, e con un po’ di cuore. E siamo felici per lei che è
tornata libera sotto l’infinito cielo che tutto accetta. Senza valutare né
contrastare.
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