Gli
effetti del Covid-19 sono stati traumatici, ma la scuola ha attraversato continui
momenti di trasformazione: in che direzione andare?
di Paolo
Brondi
Il 28
febbraio scorso andava in onda una puntata di Presa Diretta, intitolata
in modo profetico “Cambiamo la scuola”. E la scuola è cambiata, dall’oggi al
domani. L’emergenza sanitaria è riuscita laddove non sono arrivati i ripetuti
tentativi di riforma. Nella corsa dietro l’imperativo di cambiare e innovare,
la scuola è stata superata dagli eventi stessi, con tutta la loro tragicità.
Con un tempismo sfortunatamente azzeccato.
Ma
che cosa ci siamo lasciati alle spalle? Ricorrono immagini a colori vivaci: i colori della vitalità
caotica delle classi di bambini e adolescenti ancora ignari di quel che sarebbe
successo a breve; di insegnanti, non meno ignari, che cercano di conciliare
l’insegnamento della materia a quello delle basilari norme igieniche, in cui
anche il «prof, posso andare in bagno?» può trasformarsi in una lezione sull’importanza
di lavarsi le mani.
Ricorrono
immagini in bianco e nero: quelle che mostrano una scuola in un edificio grigio
e pericolante – dove il sapone non sempre c’è. Quelle della emergenza
scuola, sul « fallimento del sistema
scolastico»: le immagini che, puntando il dito sulle metodologie obsolete e
l’incapacità di stare al passo coi tempi, mostrano i dati sull’abbandono
scolastico, i risultati degli Invalsi e le classifiche Ocse-Pisa, dati spesso “inquadrati” erroneamente o senza una
doverosa metalettura.
Ma
tutte queste immagini sarebbero impoverite se non trovasse posto fra esse il cambiamento già
avvenuto: quello degli ultimi dieci anni
a seguito di due riforme (la riforma Gelmini e, soprattutto, la Buona scuola
del 2015) che di cambiamenti ne hanno introdotti eccome: poco visibili forse per
chi ne è fuori, o per chi ne ha vissuto solamente il periodo di un ciclo
scolastico, macroscopici per chi vi è dentro da più tempo.
Affermare
che la scuola è rimasta alla riforma Gentile del 1923 è tanto ideologico e
ridicolo quanto negare i problemi reali della scuola: è il frutto della
deformante nostalgia che fissa
nella mente il ricordo di come era la
scuola «ai suoi tempi», con tutti i suoi difetti e i suoi traumi, e ora vuole
ridar vita proprio a quell’immagine lì, senza rendersi conto che la realtà nel
frattempo è diventata qualcosa di ben diverso. La scuola, infatti è cambiata di continuo, mossa da forze che
vengono dall’alto ma anche dal basso.
Anche
dentro di essa ci sono spinte conservatrici, soprattutto in chi vi sta dentro
da più tempo, ossia i docenti Forse per questo nelle immagini dell’emergenza, fatta di numeri più che di persone, spesso
mancano proprio loro, i testimoni del «prima» e del «poi», occultati per dar
libero spazio all’innovazione che ha da venire; un’innovazione raccontata
piuttosto da neuroscienziati, pedagogisti, formatori e curatori di piattaforme
web, datori di lavoro che esprimono le aspettative della scuola del futuro.
Ma
vale la pena interrogarsi sul fatto che la maschera del cambiamento e
dell’entusiasmo innovativo si sgretola velocemente, se questo futuro arriva senza adeguati
strumenti e ripensamenti che permettano di “viverlo” effettivamente in tutte le
componenti che abitano la scuola. Nel delirio disorganizzativo di ora, se
provassimo a ripetere l’esperimento delle immagini, molti elementi
apparirebbero in modo più nitido e distinto, così da mostrare più chiaramente
chi sta in primo piano e chi sta sullo sfondo.
Basterebbe
poi confrontarla con qualche foto «della scuola come era prima»: oltre
all’effetto nostalgia, la parte costruttiva dell’esperimento ci permetterebbe
di riempire qualche vuoto, raddrizzare qualche immagine deformata e farci ben
vedere quegli elementi imprescindibili per quando, una volta finita questa
emergenza, ci chiederemo: «E ora che cosa vogliamo davvero cambiare?».
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