Paura e fretta: l’isolamento ci ha insegnato molto su noi stessi. Cosa ne rimarrà dopo?
di
Cristina Podestà
Il lockdown di questi due mesi è stato terribile. Abbiamo
sperimentato momenti difficili, la paura del contagio, l’ansia di doverci
misurare la temperatura quotidianamente, quasi una fobia sociale. Qualcuno ha
pianto, altri si son detti spaventati, altri ancora preoccupati e angosciati. Poi,
a questa primissima fase, è seguita l’eccitazione, certamente non per tutti ma
per molti: canzoni sui terrazzi, “andrà tutto bene” e altri slogan ottimisti,
video con balli sul web.
Dopo le cose più strane: scope autoreggenti, chiacchiere
convulse in videochiamata, ricette culinarie Poi la fretta della riapertura:
sta passando, forza, andrà veramente bene, ce la stiamo facendo, quando si va
al mare? Ed ecco, improvvisamente, la fase 2, la più pericolosa e insidiosa, la
più temuta dagli scienziati e dai medici, ma i giorni di sole ci fanno sentire
fiduciosi, alcuni attaccano i politici tentennanti e poco inclini a dare il
via!
Ma molti hanno imparato a stare con se stessi, hanno
accettato l’idea dello stare a casa, senza l’obbligo assillante di rapporti
convenzionali, senza lo stress della vita snervante. Siamo stati autorizzati a
scegliere chi sentire, chi non abbiamo voglia di vedere; certe relazioni
forzate sono state abolite. Qualcuno è stato contento.
La corsa alla riapertura delle attività, che ha sicuramente
alla base ragioni economiche, ristabilirà rapporti cui ci si è disabituati
volentieri, per alcuni sarà un problema ricominciare. Poi ci saranno i
fidanzati, gli amici stretti, i parenti che non vedranno l’ora di
riabbracciarsi. Ma, accanto a loro, anche persone preoccupate dal coronavirus,
dal suo ulteriore diffondersi e impensierite pure dalla necessità di dover
ricominciare a correre e a sorridere a tutti, di doversi occupare di tutti.
Ogni esperienza terribile porta con sé una crescita. Questo
momento difficile lascerà il segno, non solo a causa delle persone che abbiamo
perduto, delle paure e incertezze provate, ma anche per la consapevolezza di
stare da soli o con pochi, per la conoscenza di noi stessi, per le scoperte che
abbiamo fatto. Dopo forse non cambierà granché, ma noi tutti, cittadini di un
mondo che sta ancora facendo i conti con un morbo non sconfitto e sconosciuto,
avremo imparato a guardarci meglio per riconoscerci o evitarci.
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