Un matrimonio senza amore, quello tra Giovanni e Lucia: il profondo Sud, l’infinita solitudine di una donna, l’avvenire dei figli
di Cristina Podestà
Un incontro casuale,
un frettoloso corteggiamento e, quasi immediato, l’altare. Lui era già avanti
con gli anni, cercava moglie e lei era quella giusta per accasarsi. Di famiglia
bigotta e seria, timida e silenziosa, pareva fatta apposta per lui. Non si era
opposta: lo aveva accolto come un fatto necessario per dare un senso alla sua
vita di donna.
L’alternativa sarebbe stata quella di cucire tutta la vita con la madre al fianco, di accudire i fratelli che tornavano dai campi e di curare un domani i genitori, che già si avviavano sulla strada del tramonto.
L’alternativa sarebbe stata quella di cucire tutta la vita con la madre al fianco, di accudire i fratelli che tornavano dai campi e di curare un domani i genitori, che già si avviavano sulla strada del tramonto.
Giovanni aveva
raggiunto la sua casa una domenica dopo la messa, chiedendo al padre la sua
mano. Si erano chiusi in salotto e ne erano usciti dopo una buona mezz'ora
soddisfatti entrambi, e il padre l’aveva presentata al resto della famiglia
come la promessa sposa. Lucia aveva fatto un cenno di sorriso sorpreso e aveva
così firmato la sua condanna. Lo aveva sposato dunque, senza amore, senza
batter ciglio, senza porsi un perché.
Erano nati tre figli,
senza affetto, senza alcuna considerazione, per lei solo lavoro e rispetto
dovuto a tutti, in primis a Giovanni. Rude e spesso violento, la obbligava a
fare soltanto tutto ciò che lui desiderava, una schiava al suo servizio, un
essere inferiore. Lucia in silenzio subiva e lavorava per accontentare tutti,
tra i figli soprattutto il maschio, Vincenzo, il prediletto di Giovanni, mentre
le due femmine, mano a mano che crescevano si stavano incamminando sulla stessa
sua strada.
Ma un giorno qualcosa
cambiò. Un giorno Lucia, dopo aver coltivato in cuor suo un desiderio di
riscatto e la voglia di emancipazione, prese per mano le due figlie e parlò.
“Ragazze, dovete fuggire. Ho preparato per voi un gruzzolo con cui affrontare i
primi momenti. Siete in gamba, sapete fare tutto, avete intelligenza che non
potrete sfruttare se rimarrete qui. Troverete un lavoro su al nord. Vi prego,
fuggite! Vedete la vita che faccio? Comprendete che vostro padre per voi non
farà nulla, nemmeno vi vede e impegnerà tutto il suo patrimonio per Vincenzo?
Vi scongiuro, salvatevi”.
Le due ragazze
osservavano la madre stranite, a bocca aperta. “Presto… Preparate i bagagli.
Stanotte prenderete un treno a mezzanotte, ho già i biglietti. Vi accompagnerò
io in stazione. Andrete a Milano, ho dei cugini lassù che vi stanno già
aspettando. Vostro padre non saprà mai nulla”.
E così, dopo aver
fatto cenare tutti quanti, sicura che il marito e il figlio dormissero, Lucia e
le ragazze si chiusero la porta alle spalle. Loro non sarebbero tornate mai
più. Piangeva la più piccola, ma la mano della madre che la conduceva verso la
salvezza era forte e decisa e lei si consolava. Salirono in treno sbigottite e
un po’ tristi, ma consapevoli del sacrificio della madre per la loro libertà.
Avrebbe aggiustato tutto lei, avrebbe trovato le giuste spiegazioni.
Al fischio del treno
Lucia si avvolse nello scialle, orgogliosa e fiera del suo riscatto e, dando
uno sguardo alla luna che le faceva l’occhiolino, riprese la strada di casa.
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