Non solo una figura
dell’immaginario cinematografico del passato, le tante figure tragiche e
disorientate che possiamo riconoscere nella realtà di tutti i giorni
di Marina Zinzani
(Commento a Charlot,
una vita senza parole, PL, 28/12/17)
Charlot,
la creatura di Charlie Chaplin, ci appartiene. Racconta un luogo immaginario
dove però il disagio, la solitudine, le avversità sono reali, così difficili da
contrastare. Quell’omino buffo ha descritto il futuro, il nostro futuro, con
una lucidità e preveggenza incredibili.
Charlot
ha affrontato i potenti, i cattivi, con le sue misere armi: l’abbiamo
dimenticato negli anni. Ma basta un flash e si inizia a ricordare.
Appartiene
tutto alla notte dei tempi, all’infanzia fatta di piccole gioie di allora:
guardare Charlot. Un luogo perduto della mente, dimenticato. E ciò che si è
dimenticato sembra a volte che non sia mai esistito. Gli anni hanno portato
altro, non c’è più il cinema muto, la nostra quotidianità è fatta di parole,
molte, e inquietudini rumorose, e si è perduta, sì, la poesia.
L’uomo
alla catena di montaggio di una fabbrica di ieri, di oggi, il suo divenire
macchina, tutto questo così disorientante e tragico: altri Charlot. La povertà
estrema ma la ricchezza di un gesto, di uno sguardo, il cuore non ancora
raffreddato. Charlot ha rappresentato il perdente, l’ultimo. Sorridevamo
allora, non pensando che lo avremmo poi conosciuto, quel mondo, nella vita reale.
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