Una giovane ragazza, un venerdì sera: i momenti che scandiscono l’esistenza
Racconto
di Giovanna Vannini
Un foulard di quelli
grandi legato alla borsa di paglia taglia maxi,
per quando l’aria fresca della sera le avrebbe infreddolito le spalle
nude. Ancora non aveva deciso dove
avrebbe dato il via all’attesa; seduta sulla panchina a ridosso del muretto,
oppure pesticciando la piazzetta avanti e indietro, ingannando, tra i passi e
il rumore dei tacchi, il tempo da trascorrere.
Lucrezia, dalla pelle
bianca e le efelidi in agguato davanti al primo sole d’estate. Giunco in
crescita, sotto la canottiera acqua marina e gli shorts che a mala pena
coprivano lo stacco della coscia. Una massa spettinata di capelli biondo rame, appoggiata
sulle spalle ossute.
Senza perdere di vista i
sette scalini e quel che si vedeva della via oltre i lampioni accessi, si
accese una sigaretta, inspirando pensierosa la prima boccata, buttando lo
sguardo sul display del cellulare per leggerne l’ora. Venerdì sera di metà
luglio; stesso copione, conosciute aspettative.
Dopo aver contato i passi
e le boccate di fumo fino all’ultima, si sedette, mentre la brezza già
annunciata le lambiva ora le spalle, lasciando che il foulard facesse la sua
parte.
Quella era per Lucrezia la
sua seconda estate scandita dai fine settimana in alternanza, dalle quindicine
in luoghi e case diverse, con gli effetti personali doppi, sia nell’una che nell’altra, per non
incorrere nel pensiero della dimenticanza.
Il vaso di sempreverde
toglieva un po’ di visibilità alla strada, ma tanto la voce che ogni quindicina
da quel luogo la chiamava, avrebbe sopperito alla vista:
“Lucre…” - sentì nel silenzio del dopo caffè -
“Si papà sono qui” -
rispose alzandosi e andandogli incontro correndo-
Ogni quindici giorni il venerdì sera…
Ogni quindici giorni il venerdì sera…
Sslendido!
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