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Assassinare, sull'Orient Express

Dietro le incertezze della giustizia e la difficile ricerca del colpevole, c’è comunque la storia delle vittime: non andrebbe mai dimenticato

di Marina Zinzani

C’è un film in questo periodo nelle sale, “Assassinio sull’Orient Express”. E’ tratto da un famoso romanzo di Agatha Christie, la storia di un uomo che era stato prosciolto dall’accusa di rapimento e di omicidio di una bambina di tre anni. Uomo che verrà poi trovato ucciso. La vicenda prende spunto dalla morte del figlio di Charles Lindbergh, il famoso aviatore, nel 1932.
E’ solo un film, eppure in questo caso viene qualche riflessione in più. E’ come se il fatto del farsi giustizia da soli di fronte ad un crimine rimasto impunito non sia cosa relegata a un piacevole giallo, ma sia cosa attuale, e tragica.
Quando giustizia non è fatta: quando il colpevole è libero, la fa franca, per un artifizio, per mancanza di prove, per motivi oscuri. E  la vittima ha ogni giorno un segno della non giustizia, né umana né divina.
La vendetta privata viene trattata da Agatha Christie come una possibilità.  Può essere troppo facile dire “non è giusto, bisogna rispettare la giustizia.” Bisogna sforzarsi di capire le motivazioni delle vittime.
E’ un film, una storia fantasiosa. Ma anche le storie del presente ci presentano spesso colpevoli impuniti, o con pene misere. Niente può restituire quello che si è perduto. Eppure, se non si volta pagina, si rischia di restare prigionieri per sempre dei carnefici.

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