(Angelo Perrone) La reazione della politica al parere della Corte dei Conti sul ponte sullo stretto non è stata una risposta tecnica, ma l'attivazione di un copione, la “sindrome del costruttore ostacolato”, che ha forte impatto emotivo.
Come non schierarsi con "chi vuole fare" contro "chi impedisce", la solidarietà è immediata. Ma è anche capace di cancellare qualsiasi domanda inopportuna sul merito o sulla legalità.
Eppure la Corte dei Conti non è un comitato eversivo di oppositori politici, e fin qui non era composta da toghe rosse; è una sorta di consulente finanziario a guardia dei nostri risparmi.
Quando questo consulente dice "Stop, i conti non tornano, e le procedure sono a rischio", l'ostacolo non è più il giudice, ma i vizi rilevati nelle carte del progetto. L'interrogativo non è se si voglia ostacolare il ponte, ma se si voglia farlo male e a spese incerte della collettività.
Si vuole l’opera? Ebbene, la vera vittima potenziale dello stop non è il politico che viene ritardato, ma il contribuente che domani potrebbe pagare danni erariali su un'opera nata male. La vera garanzia di quest’opera è la regolarità, non la velocità viziata.
Quando poi la reazione all'allarme contabile si traduce nella proposta di riformare la giustizia ordinaria – una questione che nulla ha a che vedere con i giudici che controllano i bilanci – la manovra diventa un diversivo. Si usa lo scontro sul ponte come benzina per un'altra battaglia, confondendo i soldi (la contabilità del ponte) con le leggi penali (la riforma delle carriere).
La questione è semplice: fino a quando la politica continuerà a urlare al complotto senza dimostrarlo, il cittadino dovrà parteggiare per la legalità dei propri denari, non per la vittima apparente.
Se chi deve tutelare la legalità finanziaria dei cittadini è il primo a essere attaccato, chi proteggerà il contribuente dai conti allegri?
