Vaghe stelle dell’Orsa, il paradosso amoroso

Vicini, lontani? La ricerca della “giusta” distanza nell’amore

di Paolo Brondi

Esistono vari tipi di amore. Esistono amori che sono come l'acqua cheta e amori che invece sono come una tempesta di mare. Se ammettiamo che la passione sia un essere coinvolti, amori senza coinvolgimento non esistono, perché bisogna che io mi metta in gioco, che l'altro mi appaia come qualcosa che mi completa, che mi manca, che è oggetto di desiderio e nello stesso tempo mi appaia come un altro me stesso, qualcuno in cui mi specchio. Per questo, l'amore è un paradosso.
Stendhal, per esempio, nel romanzo Il rosso e il nero, racconta di come si può restare sempre innamorati. Se ci si avvicina troppo e si rischia di confonderci con l'essere amato, bisogna fare una bella litigata e poi, magari, "prendere una scala di notte, salire nella stanza da letto di una signora e riappacificarsi”.
Se, appunto, si è troppo vicini ci si allontana. Se si è troppo lontani ci si avvicina e bisogna trovare una distanza ottimale, come un arco voltaico, quando bisogna far scoppiare la scintilla. Questo implica l'amore come mobilità. L'amore è vaghezza, nel senso di una bellezza vaga, come le vaghe stelle dell'Orsa, qualcosa che aleggia.

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