Fëdor Dostoevskij (1821-1881) |
di Liana Monti
Il libro tratta di fatti realmente accaduti, autobiografici, durante il periodo di prigionia all’interno di una delle colonie penali in Siberia conosciute come Gulag.
L’autore ci introduce in un mondo fatto di stenti, sofferenza, punizioni, dolore, morte. Un luogo dove si trovano coloro che sono stati giudicati colpevoli di crimini di vari tipi: politici, e comuni come violenze e omicidi. Persone provenienti da diversi ceti sociali e militari. Condannate alla prigionia per vari anni o addirittura a vita.
Nel momento in cui entrano, ai detenuti sono applicate le catene che verranno tolte solo al termine. Durante gli anni di prigionia i detenuti sono obbligati quotidianamente ai lavori forzati, tranne pochi giorni in occasione delle feste di Natale e della Pasqua.
Con cura Dostoevskij descrive i compagni con i quali si trova ad interagire, allearsi, confidarsi, e scontrarsi. (“Osservavo avidamente qualsiasi cosa accadesse attorno a me, tutte quelle norme per me così strane, tutti questi uomini puniti e che si preparavano alla punizione in modo del tutto naturale producevano su di me una fortissima impressione.” “Quanto al dolore, facevo molte domande: a volte volevo sapere in modo definito quanto grande fosse questo dolore, a cosa lo si potesse paragonare.”)
Con delicatezza ci descrive quanto avviene sia nel proprio animo che in quello degli altri compagni.
Il tono della narrazione mantiene una rispettosa cautela e talvolta una sfumatura umoristica in alcuni episodi che pure si svolgono in un contesto drammatico.
Vengono descritti anche piccoli episodi di grande valore. Uno di questi narra della presenza di un’aquila che con un’ala spezza non potrà più volare via. Impaurita si rifugia in un angolo all’interno della colonia penale. I detenuti fanno a gara per prendersene cura. E quando è giunto per lei il momento finale, dopo stenti, loro stessi si preoccupano di farla uscire dai cancelli perché almeno negli ultimi momenti della sua vita, possa trovare rifugio e morire libera.
Si colgono marcatamente alcuni aspetti di questa dimensione della reclusione.
L’inevitabilità della rassegnazione (“Un detenuto è sempre un detenuto, le catene gli tintinnano addosso.” – “Possibile che si mettano le catene a un uomo solo perché questi non scappi? Assolutamente no. I ceppi sono una forma di denigrazione, di vergogna, e un peso fisico e morale.” - “Mi sono sempre stupito per quell’insolita bonarietà, per quella mitezza con la quale questa gente picchiata raccontava di come era stato, e di chi li aveva picchiati.”)
La preziosità della pazienza (“In quel luogo era possibile imparare cosa fosse la pazienza.”)
Il peso grandissimo della solitudine, anche se nessuno è mai realmente da solo (“Non avrei mai potuto immaginare quanto ci fosse di terribile e tormentoso nel fatto che per tutti gli anni della condanna non sarei stato da solo una sola volta, per un solo minuto.” - “Ricordo come per tutto questo tempo, nonostante le centinaia di compagni, sia rimasto terribilmente isolato, e che finii per l’amare questa solitudine. Solo con la mia anima, passavo in esame tutta la mia vita trascorsa.”)
Il giusto diritto alla dignità (“Chiunque, indipendentemente da chi sia e da come sia stato umiliato, esige comunque rispetto per la sua dignità umana.”)
La sofferenza causata dalle catene materiali e immateriali e alle privazioni (“Le privazioni morali sono più pesanti di tutti i tormenti fisici.”)
La vera forza che c’è nel trovare il coraggio di andare avanti ad ogni costo (“Sentivo che il lavoro avrebbe potuto salvarmi, fortificare la mia salute, il corpo … e per lo meno mi salverò”. – “Mi attaccavo alle parole, leggevo tra le righe, mi sforzato di trovare un senso misterioso.”)
La consapevolezza di avere perso tutto, eppure aggrapparsi disperatamente alla speranza (“Dio è con noi. Neanche qui andremo perduti.”)
L’inevitabile e doveroso rispetto verso l'autorità e i compagni (“E’ sorprendente quanta parte abbia la divisa per uomini del genere.”)
L'importanza delle più piccole, minime, vecchie, usate e sporche cose, utilizzate come mezzo di scambio anche solo per un po' di cibo o una tazza di the.
Il dolore fisico/morale/spirituale (“La società che contempla indifferente tale fenomeno è già di per sé infetta nel proprio fondamento. In una parola, il diritto della punizione corporale, conferito a uno sugli altri, è una delle piaghe della società, è uno dei mezzi più forti per l’annientamento.”
La forza fisica e morale (“La forza fisica ai lavori forzati era non meno necessaria di quella morale per sopportare tutti i disagi materiali di quella vita maledetta. E io volevo ancora vivere anche dopo la colonia penale.”)
Il sentimento di angoscia (“L’angoscia di tutto questo primo anno di lavori forzati era insopportabile e in me suscitava irritazione, amarezza. Chiudevo gli occhi e non volevo guardare.” - “Che ci facciamo qui? Da vivi non siamo uomini, da morti non siamo defunti.”)
Infine, e di importanza non minore, emergono i valori fondamentali dell'amicizia, della fratellanza, e sopra ogni cosa l'importanza della libertà.
(“Le catene caddero. Le sollevai… volevo tenerle un momento in mano, guardarle un’ultima volta. Ero come meravigliato. …. La libertà, una nuova vita, la resurrezione dai morti … che momento ineffabile!”)
Libertà perduta e alla fine ritrovata. Un uomo che va in reclusione e si sente come morire e poi ritorna alla vita e non resta che raccontare le proprie “Memorie da una casa di morti” per non dimenticare quello che è successo. Emerge anche quasi una forma di rispetto per coloro con i quali si è condiviso questo percorso l’auspicio che esperienza possa servire da insegnamento per le generazioni su quanto siano importanti i comportamenti, le scelte e le conseguenze che ne derivano. La libertà è vista sotto la giusta dimensione di valore assoluto e nel rispetto reciproco.
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