di Paolo
Brondi
Ci sono libri che vengono pubblicati e
pubblicizzati con gran stuolo di immagini e fanfare. Altri, pur d’indubbia
rarità e bellezza, restano nell’ombra e quasi ignorati. È il caso del libro che
s’intitola Il Regolo (Libreria Editrice Fiorentina, 1978).
L’autore, Giuseppe Lisi (Firenze 1929), si è posto il fine di ricercare i tanti modi in cui il “regolo” sia presente nella vita contadina, affascinato fin da bambino da parole fiabesche del tipo “Il regolo, o fato, vola soffiando fuoco: quando muore s’interra e diventa una vagheggiola (un vomere a forma di triangolo isoscele)”.
L’autore, Giuseppe Lisi (Firenze 1929), si è posto il fine di ricercare i tanti modi in cui il “regolo” sia presente nella vita contadina, affascinato fin da bambino da parole fiabesche del tipo “Il regolo, o fato, vola soffiando fuoco: quando muore s’interra e diventa una vagheggiola (un vomere a forma di triangolo isoscele)”.
Si è calato con profondo amore nell’humus contadino,
trascinato via via in una corrente che sfocia in altro, mettendo in luce sia la
materialità di oggetti, amuleti, ornamenti, di uso comune, sia l’aspetto fascinoso
di canti, preghiere, lunari popolari e superstizioni. Ne emerge un mondo
contadino povero di pane, ma ricco di immaginose cabale sulle quali si decidono
le semine, svettano gli alberi, fumano i camini. Un mondo che non esce dalla
dimensione del mito, sospeso com’è fra turbini di cielo e oggetti di ferro, fra
repellenti squame e occhi incandescenti che impietriscono, tra terrori che
sorvolano come uccelli le millenarie campagne e il freddo desolato degli
interminabili inverni.
Fra questi, il regolo, un serpe leggendario, detto
anche sapido sordo: al suo avvicinarsi si sente una musichina, uno stridio, un
particolare fiato; la vista piano piano si annebbia, si registra un’assenza, un
torpore. Tutto questo, mentre nel passato scaldava l’animo e arricchiva la
logica dell’immaginario, oggi che lo stesso mondo contadino è tutto tecnologico
e programmato, e il terrore seminato fra la gente si chiama violenza,
terrorismo, inquinamento, sembra destinato a rimanere un debole residuo di una
vita immemorabile se non ne salviamo il valore come di una cultura che continui
a donarci quella massa visionaria che tuttora preme su tutti noi.
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