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Mio fratello è figlio unico

di Marina Zinzani
(Dedicato alle vittime di Orlando, USA, e non solo)

Chi si butta da una finestra. Chi tace tutta la vita. Chi decide di parlare, spesso pentendosi. Chi cerca nella famiglia parole che non verranno. La comprensione che arriva troppo tardi. Chi si sente sbagliato in un corpo sbagliato. Chi cerca un affetto scrutando sguardi, cercando di percepire segnali. Chi si trova al momento sbagliato nel posto sbagliato. E muore, come ad Orlando, in un attacco terroristico.
Sono tante le cose che si possono scrivere sull’omosessualità. Dai tempi di Oscar Wilde tutto sembra cambiato, sono cambiati i tempi ma non si sono evolute allo stesso modo le menti. E chi è omosessuale soffre ancora, e molto. Il cammino è lungo e doloroso, conflitto con se stessi, il proprio io impregnato dalla paura del giudizio degli altri, l’io che diventa il giudice più terribile, più spietato. Liberarsi da quel mantello pesante, che toglie leggerezza e voglia di vivere, richiede tempo, anni, una vita. A volte non accade e si vive a metà, nella finzione.
Si è sempre perdenti, in qualche modo: dovere affrontare la società, mettere in mostra la propria natura è sì una liberazione, ma anche violenza a quel sé intimo, fragile, di vetro. Mio fratello è figlio unico, diceva una canzone di Rino Gaetano. Era una canzone sulla solitudine degli individui, sulla loro fragilità. Anche se lunghe strade in salita portano spesso a panorami per pochi, bellissimi.

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